di Jamila Campagna
Tra gli appuntamenti più attesi del Romics 2019 c’è stato l’incontro con Willem Dafoe che si è dedicato a un talk sul palco della Sala conferenze della Fiera di Roma nella terza giornata del festival, il 6 aprile.
L’attore hollywoodiano, con una carriera cinematografica strepitosa (ha lavorato con i registi dell’Olimpo di Hollywood, da Wim Wenders a Werner Herzog e Wes Anderson, da Martin Scorsese a David Lynch e Kenneth Branagh, da Oliver Stone a Lars von Trier, da David Cronenberg a Abel Ferrara, fino ad arrivare a Spike Lee a Julian Schnabel) e una fortissima e persistente spinta verso la ricerca, sempre pronto a reinventarsi, si è mostrato pieno di entusiasmo e piacevolezza nell’incontrare il pubblico romano.
Al centro del talk alcune clip di suoi recenti successi, spunti per aprire degli approfondimenti nel suo lavoro, nel suo personalissimo modo di intendere l’interpretazione attoriale, perché, è proprio il caso di dirlo, Willem Dafoe è proprio one of a kind: l’introspezione psicologica, la mimica facciale con cui il volto diventa il campo del sentire interiore, l’uso del corpo e della gestualità per riempire la scena. Elementi, questi ultimi, sicuramente mutuati dal suo lavoro in teatro – in proposito Dafoe ci ha tenuto a citare la sua compagnia teatrale, con la quale ha lavorato per 30 anni, come fonte di accrescimento professionale e umano, sottolineando che è stato un gruppo di lavoro che lo ha sempre sostenuto. E dunque, questo attore straordinario – che è già da manuale o addirittura da antologia del cinema – ha sempre abbracciato ruoli tormentati, personaggi ai limiti, nel bene e nel male, tutti caratterizzati da una raffinatezza che li porta ad essere quasi soprannaturali: dal criminale Eric Masters di Vivere e Morire a Los Angeles (William Friedkin, 1985) al famigerato Green Goblin della trilogia di Spiderman (Sam Raimi), dal Pasolini di Abel Ferrara al Van Gogh di Schnabel (Van Gogh – Sulla Soglia dell’Eternità, 2018).
Del suo Van Gogh vediamo una clip: la corsa nel campo, contro un cielo che può essere alba o tramonto, la brillantezza gioiosa negli occhi dell’artista che vede la natura – e con essa il mondo, la vita – e si sente riempire, sorride come un bambino, poi si fa serio, apre il cavalletto e si mette studiare per creare. I relatori sul palco gli chiedono cosa ha significato portare la storia di questo grande pittore sullo schermo, Dafoe ha spiegato: “Ho approfondito molto la vita di Van Gogh, ho visto i luoghi in cui ha vissuto – abbiamo girato le riprese nelle campagne da lui dipinte, nei suoi paesaggi -, ho persino imparato a dipingere, affiancato da Schnabel, il regista, che è anche pittore. Ma è importante tenere presente che in questo nostro racconto non c’è il Van Gogh reale, c’è Van Gogh che noi immaginiamo”. E’ a questo punto che l’incontro si è trasformato in una lezione sull’arte e la rappresentazione, un discorso attorno al salto tra ciò che è conoscibile e ciò che deve essere immaginato per poter raccontare una storia.
E ancora di immaginazione si torna a parlare dopo la clip su Aquaman (James Wan, 2018), in cui Dafoe interpreta il mentore del protagonista: in molte scene l’attore ha recitato con il green screen e ha spiegato che non è poi così difficile dover girare scene solo immaginando di trovarsi in un determinato luogo o rivolgendosi verso fantocci anonimi che poi saranno ricreati in digitale; l’importante, per una buona riuscita, è affidarsi alla bravura del regista che saprà dirigire la scena.
Il focus finale dell’incontro sull’altra attività cinematografica e televisiva di Willem Dafoe, quella di doppiatore: la clip scelta viene dal mondo dei Simpson, dove Dafoe ha dato la voce al temibile insegnante Jack Lassen.
In chiusura Dafoe ha ricevuto il premio Romics D’Oro, un riconoscimento che la convention romana gli ha conferito sottolineando l’importanza dei suoi ruoli nell’universo del fantastico e che la star avrà doppiamente apprezzato considerato il suo amore per la città di Roma.
Tutte le foto © IL MURO