WALT DISNEY di S.M. EJZENSTEIN

Walt Disney
di Sergei M. Ejzenštein
a cura di Sergio Pomati
SE Editore, 2004


Walt Disney di S. M. Ejzenštein è un omaggio del grande regista e critico sovietico a quello che egli stesso considerava «un grande artista e maestro». Queste pagine su Walt Disney avrebbero dovuto far parte di Metodo, un libro incompiuto che avrebbe dovuto consistere di due sezioni. La prima, in cui si sarebbe esaminato il rapporto tra razionale ed irrazionale nella produzione e nell’uso delle opere d’arte; la seconda, in cui una serie di schizzi avrebbero dimostrato il legame tra l’opera d’arte e le leggi costitutive del pensiero prelogico. Con una particolare attenzione, ovviamente, al cinema – Naum Kleiman, infatti, responsabile del Fondo Ejzenštein di Mosca ha curato la pubblicazione dei testi su Griffith, Chaplin e Disney.

L’interesse di Ejzenštein nei confronti di Walt Disney potrebbe quasi sembrare un ossimoro: il russo, che aveva fatto delle grandi questioni sociali e dei conflitti di classe il suo cinema e che si era così a lungo e profondamente interrogato sui problemi più pratici che concernevano il ritmo, il montaggio, le inquadrature ed il movimento, ammira del creatore di Topolino certamente la sperimentazione che conduceva nei suoi studi sul sonoro e sul movimento delle figure nello spazio (basti pensare alla serie di Alice e ai suoi 50 episodi, girati tra il 1923 ed il 1927, in cui la tecnica dell’animazione andava di pari passo con le riprese dal vero). Ma non solo. Come dichiarava lo stesso Ejzenštein: «Sembra che quest’uomo non conosca solo la magia di ogni mezzo tecnico, ma sappia anche agire sulle corde più segrete dei pensieri, delle immagini mentali e dei sentimenti umani. Egli crea in una zona dell’intimo più profondo e primitivo. Crea a livello di una rappresentazione dell’uomo non ancora incatenato dalla logica, dalla ragione, dall’esperienza. Così ci affascina Andersen, e Alice nel suo paese delle meraviglie». Disney sembra rappresentare il suo opposto, ossia la migliore evasione possibile, una sorta di “stupenda ninnananna per gli infelici e gli sfortunati”, per quelli che, dopo molte ore di lavoro, vogliono semplicemente estraniarsi da tutto il grigiore. Un vero e proprio cinema d’evasione, insomma, talmente perfetto da lasciarci perdere in un atro mondo e da farci tornare ad una libertà totale, priva di ogni tipo di regola. Disney riesce ad offrire allo spettatore un momento privo da tutte quelle sofferenze causate dalle condizioni sociali dello Stato capitalista e classista, senza nessun bisogno di denunciare o condannare, ma solo attraverso una ‘rivoluzione fantastica’ che tende a farci tornare bambini. In tal senso, il suo cinema potrebbe essere definito “infantile”, come lo era anche quello di Chaplin. Ma mentre Chaplin, con le sue urla tragiche e dolorose, cerca in tutti i modi di avvertirci che l’infanzia è un “Paradiso perduto”, Disney ci dice che è un “Paradiso ritrovato”. Non sulla superficie terrestre, ma soltanto nei suoi disegni.

Vera Viselli

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