di Alessio Serafino Tanganelli
L’Arte, da un noto dizionario on-line, viene definita come un “complesso ripetersi di regole” e tra le sue derivate compare chiaramente artista, ma anche artigiano.
L’attività dell’artigiano – e credo che tale ragionamento calzi anche per il contadino – prevede il recupero della materia offerta dal luogo che lo circonda e la trasformazione della stessa: quindi l’artigiano prende la materia, la plasma, la organizza in strutture e la concatena ad altra materia al fine di creare un prodotto più complesso, duraturo nel tempo ed esteticamente superiore.
L’artigiano ed il contadino, tramite la loro attività quotidiana, sono quindi portatori sani di arte: arte che arriva al massimo della propria espressione nel lungo periodo, tramite il perfezionamento della tecnica e la conoscenza della materia che viene lavorata, fino ad una sapienza sempre più profonda del luogo.
La chiave di lettura di questa piccola ricerca fotografica a tema territoriale è quindi il luogo inteso come una porzione di spazio abitato da una comunità ove suddetta svolge le proprie attività.
Alla fine di questo rapporto, il luogo diviene entità mistica, densa di azioni, forme e colori, prodotto di una personalizzazione della stessa comunità che ne riconosce un proprio carattere identitario.
Il processo di co-evoluzione tra uomo e ambiente naturale
“Insediarsi vuol dire coltivare e avere cura della terra, l’esistenza umana è per così dire qualificata dall’unità indissolubile di vita e di luogo”
[da Genius Loci, Christian Norberg Shultz]
Tra vita e luogo si crea un legame inscindibile: è questo ciò che sostanzialmente vuole significare la frase di Shulzt ma ancora più interessante è la teoria della Valley section di Patrick Geddes, della quale cercherò di riportare un sunto, seppur semplificato.
Geddes stilizza in sezione un paesaggio che va dalla montagna al mare, configurandone ogni parte con un elemento caratteristico: bosco di conifere per la montagna, coltivato per la pianura, etc. In una striscia in basso inserisce invece gli strumenti che configurano l’attività umana che tendenzialmente nasce da quei luoghi.
Geddes, biologo e dunque osservatore della natura e dell’uomo, nella sua teoria mette insieme tre elementi: il place (luogo), il work (lavoro) e il folks (comunità).
La comunità interagisce con la materia del luogo e genera a sua volta attività (work) differenti tra un luogo e l’altro, ma sempre facendo in modo tale che la semplice materia si trasformi in risorsa utile alla sopravvivenza della comunità. Si attiva quindi un processo di coevoluzione tra uomo e natura, ossia un processo di crescita in equilibrio tra le due componenti.
Il territorio quindi è definibile come un prodotto complesso, solcato da forme che sono un compromesso tra morfologia ed attività antropica, finalizzate al mantenimento dello stato di equilibrio.
Wholeness territoriale
Il territorio come ci è stato consegnato è un risultato finale ma mai finito: risultato di un complesso avvicendarsi di regole che le attuali comunità faticano a decodificare.
Colpa forse della nostra teatrale cultura del paesaggio, la quale prevede che tra spettatore e scena si crei una distanza di osservazione, o forse colpa di grotteschi meccanismi capitalistici. Di certo il risultato non è più un territorio generato da persone che lo vivono tramite le loro attività quotidiane.
Le comunità odierne hanno col tempo disimparato a riconoscere, a curare e a generare le forme del territorio arrivando al punto di creare un progressivo distaccamento da esso. La capacità di apprezzare l’orditura di un terrazzamento oppure le articolate strutture murarie di un borgo, non è un nostalgico ricordo di tempi antichi ma è la consapevolezza di tanto ingegno applicato per l’instaurazione di un dialogo con il luogo.
Se è appunto vero che tra gli elementi che compongono il territorio esiste sinergia e tra questi elementi è compresa la comunità, significa che essi fanno parte di un unico complesso di interezza ed è quindi possibile ipotizzare che le forme create nel lungo periodo siano quel legame genetico che ci fa appartenere al luogo.
L’attuale crisi identitaria che colpisce la comunità locale, che non ci porta più ad apprezzare la bellezza di tali forme, è quindi alimentata dal continuo sottrarsi alle basi di un codice unico, che ha come obiettivo fondamentale la conservazione della vita.
Forse, se non lo è già, la vera sfida del futuro sarà quella di saper riconoscere e replicare le regole che sostengono tali forme capaci di ospitare la vita ed al tempo stesso di generarne di nuova.
In copertina: foto © Alessio Serafino Tanganelli