LETTERA A KAFKA

di Daniele Fiacco

A chi è destinata una lettera? Non di certo a chi si suppone sia rivolta. No, è destinata a chi la scrive. Io non avrò l’ingenuità di mettere nero su bianco neanche una riga per Kafka. Così comincio dalla fine, dall’impossibilità della lettera stessa, tirando fuori le parole dal vuoto enigmatico che mi separa dalle risposte che da Kafka non sarebbero mai arrivate, neanche se fosse ancora vivo. LETTERA A KAFKA

FABRIZIO COSCIA, SOLI ERAVAMO

Tutte le vite straordinarie sono vite comuni. Non è vero il contrario. E questo precetto –fondamentale, giacché lo straordinario ci riguarda sempre –, basterebbe a racchiudere il senso di questo libro. In un’intervista Louise Ferdinand Céline[1] dichiara di aver «messo la pelle in gioco, perché non dimenticate una cosa: la grande ispiratrice è la morte. Se non mettete la vostra pelle sul tavolo, non avete nulla. Uno deve pagare. Quello che è fatto senza pagare sa di gratuito. Allora avrete scrittori gratuiti». In Soli Eravamo, il presagio céliniano è un fil rouge, un’enfasi dai contorni quasi paradossali[2] che a tratti ci fa sorridere, altri commuovere ma puntualmente ci restituisce l’umanità celata dietro le esistenze di coloro che, grazie a quella pelle sacrificata, ci parlano delle manie, delle fughe e dei deliri, dell’imprevedibile che è di tutti. FABRIZIO COSCIA, SOLI ERAVAMO