di Vera Viselli
Room
Lenny Abrahamson, Canada – Irlanda – UK, 2015
Joy (Brie Larson, premio Oscar 2016 come Miglior Attrice Protagonista) viene rapita mentre andava a scuola dal ‘vecchio Nick’, che la tiene prigioniera in una stanza sette anni, abusando ripetutamente di lei. Da questi abusi nasce Jack – non so quanti abbiano capito il nome dall’inizio: io ero convinta si trattasse di una bambina fino quasi a metà film, per via della bellezza di quei lineamenti così femminili incorniciati dai capelli lunghi -, un bambino che nasce e vive nella ‘Stanza’. Il film di Abrahamson non si focalizza tanto sui crimini subìti dalla giovane madre, quanto sulla naturale adesione di Jack alla ‘Stanza’, che gli offre la sua unica esperienza di vita, attraverso le cose che contiene e le persone che ospita, tanto da farlo sentire fuori posto quando si trova in una vera stanza, in una vera casa. Quello di Abrahamson è quindi un film sulle sembianze: come succede al bambino, ci sembra reale e naturale quello che viviamo e che siamo abituati a conoscere, nient’altro. Ma quando Jack vede per la prima volta il cielo, con quella soggettiva così intensa da essere stupore e bellezza allo stato puro, che lascia spazio solo ai rumori di sottofondo, ecco, ognuno di noi se la ricorda quella primissima volta? Forse la sensazione di Jack non dev’essere stata così dissimile da chi ha visto arrivarsi addosso un treno in una sala cinematografica, nel 1896.
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