di Arianna Forte
Per me che sono nata a Latina e ho scelto di vivere altrove, si può dire che sia il mare l’elemento più attraente che mi spinge a tornare. Sabato scorso però c’è stato un piccolo evento molto significativo che mi ha riportata in città: la premiazione del concorso Affetti Speciali indetto dal Centro Donna Lilith, che si è tenuta presso la sala conferenze dell’Hotel Europa di Latina. Eh già, il capoluogo pontino non è solo la patria di cantanti di moda e degli sciorinatori del ”quando c’era lui”, ma è anche sede di uno dei primi centri d’accoglienza europei che dal 1986 tutela i diritti delle donne e soprattutto combatte la violenza di genere e supporta concretamente chi l’ha subita. Le determinate donne (volontarie) che si occupano di altre donne tra le tante iniziative e battaglie che hanno portato avanti, in quest’occasione hanno deciso di valorizzare lo sguardo femminile sulla cultura, dando un’opportunità alle giovani fino ai 35 anni che si esprimono attraverso il mezzo cinematografico. L’occasione è stata appunto il festeggiamento del trentennale dell’attività del Centro e per questa ricorrenza lieta, il tema del concorso non era esplicitamente la violenza sulla donna ma l’affettività, intesa come un’incontro con l’alterità in grado di sradicare pregiudizi e stereotipi di genere. Difatti il terribile caso di cronaca di questi giorni della giovare 22enne bruciata viva dal suo ex-fidanzato, sul quale ci sarebbe tanto e troppo da dire, nello specifico ci conferma duramente quanto sia attuale questo tema, dimostrando, tra le altre cose, l’incapacità strutturale e diffusa di elaborare emozioni e la difficoltà di avere relazioni affettive equilibrate.
Il concorso è stato anche un momento di incontro con donne e cineaste di grande spessore, dalle attiviste del Centro donna alle componenti della giuria, di cui ho fatto parte. Alcune di loro hanno una grande storia e esperienza alle spalle, a partire da Loredana Rotondo. Su di lei difatti c’è molto da raccontare: documentarista e programmista RAI, ci ha portato la sua testimonianza sovversiva innanzitutto come donna che dagli anni 70 si è saputa affermare in quanto autrice, fronteggiando il monopolio maschile; inoltre, come professionista si è lanciata in un’altra sfida, quella di usare le potenzialità del mezzo televisivo in maniera intelligente, critica e attiva in opposizione alla concezione qualunquista e di puro intrattenimento della televisione pubblica. Processo per stupro del 1979 è una delle sue trasmissioni che ha segnato l’immaginario delle generazioni degli anni 50 in poi, facendo luce sulle dinamiche sessiste sottaciute della società italiana. Loredana, assieme a un collettivo di autrici – Maria Grazia Belmonti, Anna Carini, Paola De Martiis, Annabella Miscuglio, Rony Daopoulo – hanno documentato per la prima volta un processo per stupro in diretta, mostrando la violenza psicologica con cui la donna vittima veniva inquisita e screditata, diventando lei stessa imputata. Un altro loro progetto molto audace, emblematico e interessante da conoscere per la sua genesi è A.A.A. Offresi, un documentario sulla prostituta Veronique, in cui si filmava l’approccio, le trattative e i saluti con i clienti, ripresi a loro insaputa ma oscurati al pubblico. La sera della messa in onda nel 1981, però, la trasmissione venne sospesa, sequestrata e l’affronto più grande è stato che le autrici furono accusate di favoreggiamento della prostituzione e violazione della privacy. Solo dopo 15 anni Loredana e le sue colleghe sono state prosciolte, dopo aver sostenuto per anni il peso di un’accusa penale a loro carico. Del documentario non vi è più nessuna traccia, ufficialmente è andato perduto.
Al grande carisma di Loredana si è aggiunto quello di una delle più feconde professioniste del cinema italiano del momento, Ilaria Fraioli, montatrice, tra i tanti, dei film di Alina Marazzi e collaboratrice dell’Orso d’oro Fuocoammare di Rosi. Anche se non ha potuto partecipare suo malgrado alle premiazioni, il suo apporto e impegno è stato determinante per la lettura, l’analisi e la selezione dei cortometraggi. Insieme a loro le altre componenti della giuria sono state Anna Eugenia Morini, docente di Latina da sempre operativa per la diffusione della cultura cinematografica e non, al momento attiva per proporre un cambiamento politico in città; Gaia Capurso, agguerrita produttrice indipendente che dal 2010 gestisce la MaGa production; Barbara Pellegrini, artista e graphic designer; Maria Marinelli, ruggente presidentessa del Centro Donna Lilith, ed io, studiosa di Cinema.
Questo amalgama di donne, esperienze, punti di vista si è fuso poi con quelli delle registe che il 28 maggio sera erano presenti. Le vincitrici sono state in ex aequo Elena Baroglio, autrice di Qui non ci sono alberi e Naike Anna Silipo regista di Immaginare T accompagnata dalla gemella, Lucia Lorè, sceneggiatrice e attrice del cortometraggio assieme a Stefania Minghini. Il primo è un video sperimentale che indaga l’essere femminile in relazione alle nozioni di corporeità e vocalità; il secondo è un cortometraggio che affronta il tema dell’identità sessuale e del suo potenziale superamento.
Riporto le belle parole di Ilaria Fraioli che racchiudono le motivazioni espresse della giuria:
“In Qui non ci sono alberi e Immaginare T abbiamo riscontrato una sorta di specularità nell’individuare con immagini personalissime un percorso di ricerca dell’identità di genere. Nel cortometraggio Qui non ci sono alberi questa ricerca si svolge seguendo un canone poetico attraverso un singolare intreccio di suoni, voce, luci, ripetizioni ritmiche e metonimie visive tutte incentrate sulla definizione incerta del proprio corpo di ragazza in una sorta di liquido amniotico iniziale, come appunto a ridefinire, a partire da un sé indefinito e primario, la propria identità. L’identità è, in modo più diretto e tematico/narrativo, il centro drammaturgico del corto Immaginare T; con grande sapienza e maturità nell’uso del mezzo filmico si dà vita ad un incontro dialettico, sia erotico che di senso, tra due donne alla ricerca dell’identità sessuale attraverso l’altra, attraverso la relazione, anche conflittuale, con l’altra. È proprio in questo incontro, in questo sensuale corto circuito che ognuna di loro individuerà il proprio modo di stare al mondo e di collocarsi nel genere.”
Una menzione speciale è stata data a Ludovica De Santis per il cortometraggio La Guardia, per il quale si è voluto “sottolineare come attraverso la sospensione del tempo e la conquista, sia pure momentanea, di un proprio spazio di libertà, possa emergere una capacità affettiva e relazionale autentica e toccante.”
La ricerca, l’impegno, le opinioni di queste giovani ragazze tutte alla prima regia sono diventate motore di discussione, urgenza di condivisione di esperienze, confronto e conoscenza tra cineaste, giurate, attiviste e spettatrici che si sono salutate con la incoraggiante promessa di incontrarsi nuovamente per creare un gruppo di lavoro.
Così, un concorso piccolo piccolo, in una città di provincia anch’essa piccola piccola, è diventato una grande occasione di scambio e una proposta di visibilità per le giovani donne attive nella produzione audiovisiva che in questi anni, con fatica e difficoltà, realizzano documentari e film.