di Giulia Pergola
Ciò che voi chiamate Italia è, ai miei occhi, un giardino di pietra.
Questa è la sua forza, la sua bellezza e la sua tragedia. Questo è il suo incanto, la sua immutevole sostanza, la struggente forma del suo destino.
In questa Storia che ci sovrasta e ci supera, indifferente alle nostre storie, alle nostre piccole urgenze, alle nostre contingenze che, proprio nella loro caducità, sono la più autentica e sincera immagine della nostra vita, io non ho trovato mai il mio posto.
Il progetto fotografico di Michele Pergola Il giardino di pietra è la tragica presa d’atto di una condizione esistenziale divenuta ormai insostenibile. La dissoluzione di quel fecondo legame tra uomo e Storia ha inaridito il giardino nel quale vaghiamo silenziosi, e che da rigoglioso quale era, si è trasformato in un algido non-luogo nel quale l’alienazione cristallizza ogni slancio vitale.
Secondo un progressivo scollamento tra forma e sostanza, Michele Pergola ci introduce in una realtà e in una Storia nelle quali l’uomo riusciva ad essere perfettamente integrato; le figure mostruose del Sacro Bosco di Bomarzo accolgono e si lasciano accogliere in un’intricata rete di rimandi, in cui il dialogo con la Storia rimane vivido in un’allegra confusione di colori e di consistenze.
La scintilla rinascimentale brilla ancora di luce propria e ci riporta ad un passato meraviglioso e monumentale in cui ogni immagine era aperta. L’umanità di quei mostri di pietra si manifesta nella loro alchemica fusione con il rigoglioso giardino in cui sono immersi.
Decisamente più solitari e goffi sono i busti che invadono gli spazi del Gianicolo; la loro autorevolezza sembra essere paradossalmente contraddetta dalla miriade di medaglie che ne affollano le uniformi, ma anche da baffi e barbe che a breve ritorneranno di moda.
Queste figure sono sole in un paesaggio che si allontana silenzioso, e che diviene una scenografia astratta capace però di imprigionare questi ridicoli uomini baffuti in un’atmosfera sospesa e straniante.
La pietra comincia ad emergere nella propria natura mortifera.
Ma è nella deformità degli atleti dello Stadio dei Marmi, che si manifesta l’eleganza della tragedia, l’interruzione di un dialogo salvifico. Questi muscolosi uomini di pietra vivono insieme la loro condizione materica e il loro slancio (interrotto) verso la trascendenza. Non hanno bisogno di alcuna scenografia, il loro spazio è bianco, ovattato, privo di qualsiasi consistenza; la piattezza che li circonda è violentemente spezzata dalla loro decadenza fisica che emerge attraverso quei corpi brutali ricoperti di muschio e muffa.
L’indagine attenta condotta dall’obiettivo fotografico evidenzia da un lato una mancanza ontica, l’inadeguatezza di quell’esser-ci a cui invece anelano i nostri figli negletti; dall’altro la concretezza del dramma che qui diviene laconica catastrofe.
Le atmosfere sospese attraverso cui queste foto ci conducono, sono il segno tangibile di un malessere pregresso, di un disagio latente nei confronti di una Storia che non è stata capace di riscattarsi.
Questi nervi tesi, questi rettili dalle barocche spine dorsali, non sono altro che disperata incomunicabilità.
Il metafisico giardino di pietra descritto da Michele Pergola è un territorio astratto e poco rassicurante nel quale inoltrarsi. È la casa in cui non ci sentiamo a casa, la casa che abbiamo abbandonato e che a sua volta non vuole più accoglierci; è l’Unheimlich che ritorna.
Un legame di sangue troncato disumanamente.
Un giardino fatto di fiori, arbusti e alberi se lasciato all’incuria del tempo può trasformarsi in un ambiente decrepito, in alcuni casi anche orrorifico; i fiori lasciano posto ai rovi, il verde alla cupezza dei marroni, la tenerezza alla rugosità del marcio. Ma è pur sempre un moto evolutivo, un progredire sbagliato forse, ma che denuncia la propria esistenza.
Un giardino di pietra invece, se non viene curato, se non scorge traccia di abitanti compassionevoli che ne attraversano gli spazi, rimane isolato e contratto nel suo rigor mortis. Immobile ed eterno assume lentamente le sembianze di un deserto di rocce; la desolazione che lo attraversa è priva di qualsiasi vitalità, ma anche di qualsiasi tensione verso la morte. Non c’è dinamismo perché non c’è alcun turbamento.
Un giardino di pietra va necessariamente abitato affinché se ne possa cogliere lo splendore; va amato, accudito e rispettato nella sua materialità apparentemente ostile eppure così elegante. Ancora una volta c’è bisogno di amore.
Le foto sono tratte dal progetto fotografico Il giardino di pietra di Michele Pergola.
Il progetto fotografico Il giardino di pietra è stato il tema di una recente mostra personale di Michele Pergola presso l’Associazione culturale Canova22 a Roma, nei mesi di febbraio e marzo 2015. In occasione della mostra sono stati stampati cataloghi in tiratura limitata.
Attualmente il progetto continua ad ampliarsi, dopo aver incluso la serie relativa al Sacro Bosco di Bomarzo e al Gianicolo.
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