di Vera Viselli
Ne le Lettere di Charlotte, Emily ed Anne Brontë, a cura di Barbara Lanati e con la traduzione di Susanna Basso, la protagonista principale è Charlotte. È lei a rimanere in vita da sola, per ultima; è lei quella che scrive di come la malattia si insinui prima in Anne e poi in Emily. Le sue lettere, qui scelte e raccolte, sono le più numerose, corpose, dense di tutti quegli scorci di vita di cui l’intera famiglia si è resa partecipe, protagonista: quella vena narrativa che apparteneva a tutti e quattro i figli, la loro continua necessità di lavorare ma al contempo anche quella di manifestare un certo affetto – certamente non soltanto parentale, filiale o amicale, come si può percepire dalle lettere scritte da Charlotte ad Ellen -, il racconto/resoconto dei vari tentativi letterari sotto falsi nomi per convincere gli editori a pubblicare i loro scritti, tutto intervallato da lutti tremendi ed un profondo, profondo dolore, fisico per chi cadeva ammalato e chi doveva assistere ma anche quello scaturito dalla consapevolezza che alla vecchiaia non sarebbe arrivato alcuno di loro. Tra tutti, è Charlotte quella che cede per ultima: prova ad essere felice per qualche istante, decide di sposarsi, di andare oltre le convenzioni maschiliste riguardanti il mestiere dello scrittore, anche se non dimostrò di apprezzare poi tanto quello che scriveva una sua collega, Jane Austen:
Perché ama tanto la signorina Austen? Mi meraviglio. Che cosa Le fa affermare che preferirebbe aver scritto Orgoglio e Pregiudizio o Tom Jones piuttosto che qualsiasi romanzo del ciclo di Waverley?
Non avevo mai sfogliato Orgoglio e Pregiudizio finché non ho letto la Sua opinione al proposito. Solo allora mi sono procurato il libro. E che cosa vi ho trovato?Un accurato ritratto dagherrotipo d’un viso comune, un giardino coltivato e cintato con ogni cura, con aiuole precise e fiori delicati, ma neanche il lampo d’una fisionomia luminosa e vivida, non uno scorcio di campagna aperta, non un po’ d’aria fresca, non una collina azzurra, non un bel torrente. Non amerei davvero vivere con le sue signore e i suoi gentiluomini, in quelle case eleganti, ma isolate. (Lettera di Charlotte Brontë a George Henry Lewes, 12 gennaio 1848)
Forse perché con lei la vita era stata altro, talmente faticosa da vivere che trovava sollievo solo nello scrivere.