di Francesca Attiani
Il lavoro che ha affrontato Luigi Lo Cascio, in una coproduzione tosco-friulana, per Il sole e gli sguardi, lo vede ricomporre un tessuto pasoliniano materiale e immateriale con cura filologica: Lo Cascio porta a teatro un diario di vita, come narratore esterno e contemporaneamente personificazione del poeta di Casarsa, tentando di rievocare nello spettatore sentimenti familiari della propria storia. Attraverso la produzione lirica di Pasolini, Lo Cascio è stato in grado di riannodare i fili di una vita che, in quanto tale, è già vaticinio di morte: quasi come in una tragedia greca, l’immagine del Pasolini trucidato allo scalo di Ostia sembra accompagnarlo come un incubo fin dalla sua nascita, premonizione funesta che rompe il gioco spensierato di Pier Paolo fanciullo, pensiero ossessivo che lo paralizza in un mondo di paure. La poesia è per il Pasolini di Luigi Lo Cascio una palestra di sentimenti, un luogo dove camminare liberamente tra angosce e passioni, è lo spazio che lo mette in contatto con l’io più intimo. Per questo motivo in scena vi è oltre all’attore un artista – Nicola Console – capace di rappresentare dal vivo ad ogni replica le immagini in grado di invocare quell’io poetico. Le immagini costruite in diretta, pennellando di nero grandi superfici bianche, sembrano esprimere l’orrore del sacrificio umano, scandiscono ritmicamente il peso delle uniche parole pasoliniane impronunciabili: quelle private, che raccontano della sua infanzia, del rapporto materno e delle pulsioni più recondite. Essere presenti a questa epifania di morte non è per lo spettatore, però, motivo di strazio, poiché viene riconsegnato lentamente allo sguardo del mondo un uomo dalla grande forza e dal magnetico coraggio. Non scontato il parallelo cristologico: nel compianto del Pasolini morto tra la polvere, come nella colpa espiata con sfacciata vitalità; in tutta la produzione cinematografica e teatrale, Pasolini ha guardato con attenzione al cristianesimo soprattutto per immagini attraverso la storia dell’arte cinque-seicentesca, ne ha subito il fascino con incredula introspezione. L’arte è perciò l’elemento fondante di questo spettacolo: come in una performance contemporanea, i versi pasoliniani sembrano spuntare casualmente dalla voce profonda di Lo Cascio, collegandosi tra di loro in maniera sempre nuova e inaspettata: anche qualora si conosca bene l’autore, questo dialogo tra immagini e parole inconsce tesse un autoritratto credibile quanto nuovo. Le musiche futuristiche di Andrea Rocca, come le scenografie minimaliste di Alice Mangano sono studiate per sembrare spontanee, come le luci di Alberto Bevilacqua: secondo pennello dell’artista. È un esperimento in diretta, che riesce con successo perché condotto con estrema sensibilità da Lo Cascio, il quale non invade mai lo spazio personale del poeta pur camminandoci dentro, sfiora delicatamente delle pagine per riconsegnarci una puntuale stratigrafia dell’anima di Pasolini.