Intervista di Jamila Campagna
Tra luglio e agosto la città di Latina si è vista scuotere da un evento indipendente che ha attirato folle di cittadini nell’arena all’aperto dello storico Cinema Corso: Latina sotto le stelle, rassegna di cinema documentario, con alcune fughe letterarie, tutta dedicata al territorio pontino, curata dalla giornalista e documentarista Emanuela Gasbarroni e accompagnata dalle degustazioni proposte da Prodotti Pontini.
Una rassegna che ha rispecchiato la brillantezza di idee e la lungimiranza della curatrice, Emanuela Gasbarroni, figura professionale che Latina può vantare tra le sue eccellenze: da 20 anni residente a Firenze, giornalista professionista con anni di esperienza in radio e giornali (tra gli altri, 9 anni collaborazione con Repubblica) e uffici stampa nazionali e internazionali, negli ultimi anni ha incentrato il suo lavoro sulla regia documentaristica, realizzando una quindicina di documentari dedicati ai Paesi arabi del Mediterrano, su tematiche di sviluppo, diritti umani e ambiente (andati in onda su Rai, BBC World, Rai, canali arabi, indonesiani e albanesi in collaborazione con Commissione Europea, Cooperazione Italiana e altri organismi di cooperazione Internazionale). La sua visione internazionale e l’amore per la sua città di origine l’hanno portata a raccontare Latina attraverso la storia del campo profughi, in un documentario variegato, attento e suggestivo: Fuga per la libertà.
Abbiamo parlato con lei di Latina sotto le stelle, della città, di quanto si è fatto e di quanto si può fare. Ecco l’intervista.
La rassegna Latina sotto le stelle, da te curata presso l’arena all’aperto del Cinema Corso a Latina, ha riscontrato una grande partecipazione di pubblico sin dal primo appuntamento. A distanza di qualche settimana possiamo dire che il successo e l’entusiasmo sono stati enormi. Come è nata l’idea? Come ti sei orientata nella scelta dei documentari e dei libri?
L’idea è nata in tempi brevi. Avevamo parlato tempo prima con i gestori del cinema Corso della proiezione all’arena estiva del mio film-documentario Fuga per la libertà sul campo profughi di Latina. Ho pensato, però, che mi sarebbe piaciuto raccontare alla città non solo una pagina di storia recente di Latina, come quella del campo profughi, ma anche di altre narrazioni su tappe cruciali, come appunto la questione della centrale nucleare, della discarica di Borgo Montello, del piano regolatore e non poteva mancare l’epopea veneta.
La logica era di non portare film genericamente ambientati a Latina e anche tentare di uscire dal solito racconto con i pionieri veneti o con il fascismo. Latina è tanto di più e altro. Dato che il regista Gianfranco Pannone – che ha iniziato circa 30 anni fa il suo racconto sull’identità locale – aveva tre titoli importanti su tali tematiche diventava possibile una rassegna in tal senso. Patrizia Santangeli poi aveva il suo titolo Monte Inferno sulla discarica. Li ho contattati e sono stati subito disponibili. Poi ho pensato che per completare la conoscenza sarebbe stato utile abbinare, prima delle proiezioni, delle presentazioni di libri, non necessariamente editi di recente, collegati per argomento o per epoca storica. L’abbinamento con il cibo, sempre rigorosamente prodotti pontini, ha completato l’offerta ed è stato assai gradito.
Attenzione però: l’intento non è stato mai di celebrazione o di autocompiacimento per la città, sarebbe stato esercizio inutile. Il fine era: cerchiamo di conoscere per costruire una consapevolezza verso un’identità e creare senso di appartenenza.
Sicuramente il successo di Latina sotto le stelle è indice di una cittadinanza che ha voglia di vivere attivamente la città e cerca delle proposte culturali. Viene da chiedersi se sia anche segno che gli abitanti di Latina sono diventati finalmente latinensi a tutti gli effetti, se abbiano il bisogno di sentirsi raccontati in una “memoria contemporanea”, se si sentano pronti a una narrazione che faccia conciliare tutte le sfaccettature che caratterizzano questa comunità…
Il successo è andato oltre ogni aspettativa e ha confermato che si è trattato di una proposta che corrisponde ad una esigenza della città. Da latinense ho pensato che ci fosse bisogno di una riflessione su noi stessi, oltre la solita frase “Latina è una città senza storia, non ha nulla“. Certo non sarà Firenze, città dove vivo da vent’anni. Non c’è Masaccio, Donatello, Brunelleschi o Michelangelo, ma ciò non significa che non vi siano storie che hanno segnato questa giovane comunità. E dato che molte di esse sono state narrate da scrittori e registi con emozione e studio, conoscerle fa bene a tutti per appropriarsene e creare una qualche identità.
Credo che fare eventi culturali non significhi solo fare una lista di concerti, libri, conferenze, ma individuare un filo conduttore che possa essere di riflessione e conoscenza per una determinata fetta di pubblico, in un determinato tempo. E per fare ciò devi avere una conoscenza della cittadinanza, delle sue esigenze, della sua storia.
Tra i documentari in rassegna c’è stato anche il tuo Fuga per la Libertà, racconto delicato e commovente di ciò che è stato il campo profughi di Latina: un percorso sulla sottilissima linea che separa l’incombenza sociopolitica dal vissuto privato, familiare, affettivo; ma anche un elemento/luogo che ha reso Latina una città europea. Mi piacerebbe se volessi condividere qualche insight su questa tua ricerca documentaria.
Dal 2012 sono immersa nella “magica” storia del campo profughi “Rossi Longhi di Latina e ancora non è finita e non so quando verrà messo il punto. “Magica”, perché è una storia che cattura e suggestiona.
Le tante esistenze che sono passate in quel luogo hanno esercitato su di me un fascino straordinario, anche se complicate e spesso dolorose, o forse anche per questo.
Ho iniziato tanto tempo fa a immergermi in questa storia, quando ero bambina, e ricordavo i rifugiati che i miei ospitavano a casa, che con noi passavano il Natale o condividevano gite e pranzi. Le foto insieme a loro, che custodivamo in una grande scatola, e le lettere ricevute durante le festività, una volta espatriati, sono state le mie prime fonti di informazione e suggestione.
Il tutto è stato amplificato quando mi sono recata per la prima volta all’Archivio di Stato di Latina, nel 2012, e ho cominciato ad aprire i contenitori, colmi di documenti, foto, schede, lettere, liste, relazioni, articoli. Sono seguiti poi i contatti con alcuni rifugiati, organismi come l’Alto Commissariato dei rifiugiati delle Nazioni Unite, lo Iom, la fondazione Migrantes, i tanti testimoni di Latina, le tante foto, le pagine social su cui mi arrivano di continuo le testimonianze da ogni parte del mondo. Sto scrivendo il libro e c’è anche un sito web, creato insieme a Filip Korycan: aveva 8 anni quando arrivò al campo, fuggendo dalla Cecoslovacchia con il padre; oggi è un bel ragazzo di 40 anni che lavora per una grande società americana che fa siti web. Poi c’è Micey che è un illustratore e vorrebbe fare una grafic novel. E poi ancora di continuo altre storie che mi arrivano: il libro e il sito web saranno un modo utile per rappresentarle. Per me è un grande sforzo, perchè non ho avuto alcun tipo di supporto a livello locale, né da parte di imprenditori, né di enti pubblici. Di sicuro Latina è stata al centro di questioni geopolitiche internazionali e questo campo è stato un pezzo di Storia. L’aspetto che emerge è che le istituzioni non fecero nulla all’epoca per avvicinare la popolazione ai temporanei residenti del campo. Le relazioni tra i locali e i profughi furono spontanee e in genere la percezione dei cittadini di Latina era di paura, perché avevano conoscenza di quella realtà solo attraverso i titoli dei giornali che raccontavano di furti e risse. Ovviamente riguardava una minima parte del campo: il resto della popolazione del campo – artisti, musicisti, fisici nucleari, operai, impiegati, brave persone – non entravano in contatto con la cittadinanza. Nessuna amministrazione ha mai organizzato una partita di calcio, una mostra, un pranzo comunitario. Immaginate che racconti avremmo potuto ascoltare? È stata un’occasione perduta non esserci incontrati con quelle circa 100 mila esistenze che sono passate in 30 anni, come afferma giustamente il giornalista Emilio Drudi.
Fa sorridere con tenerezza e orgoglio pensare che ora negli edifici che furono del campo profughi c’è una sede dell’Università La Sapienza. È interessante come quello spazio continui ad essere vitale in modi sempre diversi.
Mi spiace che finora gli studenti dell’Università ora insediata in quella struttura non abbiano mai visto il film. Ci sono state due proiezioni presso la Facoltà di economia de “La Sapienza”. In una, nonostante vi fossero anche i più importanti rappresentanti istituzionali internazionali – Philip Jaquemet per l’Alto Commissariato dei Rifugiati della Nazioni Unite e Federico Soda dell’Organizzazione internazionale delle Migrazioni ,- non era presente neanche uno studente. Nella seconda proiezione, organizzata dall’assessora Patrizia Ciccarelli, c’erano solo pochi studenti del corso del Prof. Benvenuti. Insomma le centinaia di ragazzi che popolano quel luogo così denso di eventi, storia e umanità non sono mai stati coinvolti dall’Università in una proiezione appositamente organizzata. Vengo tuttavia costantemente invitata in molte scuole e università fuori Latina, anche dalla Bloosmbery University a Londra, che tramite Filmitalia ha richiesto il film, e c’è stata una proiezione affollatissima ed emozionante.
Per quanto riguarda la diffusione e la promozione del documentario in provincia di Latina, ci sono stati dei riconoscimenti: questa estate hai vinto il premio come miglior documentario alla 21esima edizione del Film festival di Lenola.
Sì, è stato un onore che il presidente di giuria che mi ha premiato fosse Simone Isola, produttore del film Non essere cattivo, che ho amato molto. In questi giorni sono stata invitata anche al Fondi film festival organizzato dalla Fondazione Giuseppe De Santis. [N.d.R. giovedì 19 settembre, ore 21, incontro con Emanuela Gasbarroni e proiezione di Fuga per la libertà, Sala Carlo Lizzani, Fondi].
Di immigrazioni, quelle della Latina coloniale, si parla anche nell’ultimo documentario proposto in rassegna, Piccola America di Gianfranco Pannone. A fare da apertura nella prima serata c’era stato un altro documentario di Pannone che in una certa misura attingeva sempre alle origini storiche di Latina. In qualche modo questi due documentari hanno agito come “parentesi graffe” di tutto il concept della rassegna?
I film sono stati pensati in ordine cronologico, quindi era giusto aprire con Latina Littoria che narra vicende del piano regolatore del duemila. E quindi, secondo tale logica, l’epopea veneta, che è l’origine del tutto, era giusto concludesse. Qualsiasi storia si narri di questa città torniamo alla questione delle migrazioni. Sappiamo che ognuno di noi ha al massimo una generazione nata a Latina. Nella stessa famiglia convivono mescolanze regionali di lingue, culture, cibi, usanze. E questo è interessantissimo, è un unicum in Italia. L’Italia è un paese di storia, denso di antichità e raccontare di un posto “nuovo” per architettura, popolazione, addirittura con un accento linguistico che si è formato nel giro di poco tempo, sorprende tanto e dovremmo averne maggiore coscienza. E comunque davanti al nostro mare è arrivato Ulisse, migrante per eccellenza.
Tirando un po’ le somme dei contenuti della rassegna, mi viene da dire che il discorso su Latina è un “discorso da fuori” per antonomasia, anche quando viene fatto dal cuore della città. Da alcuni anni lavori e vivi a Firenze. Com’è Latina vista da lì?
Quando spiego a Firenze cosa sia Latina, tutti ne restano affascinati. Ovviamente non posso citare pittori del ‘500 o architetti che hanno costruito magnifiche cupole. Però racconto dei tanti accenti che ci sono, del fatto che nessuno della mia generazione ha avuto genitori nati a Latina, della parlata veneta nelle campagne bonificate, che si sono popolate dove prima c’era acqua. Di come se vieni da fuori e parli con un altro accento nessuno ti chiede “ma tu non sei di Latina” e diventi cittadino a pieno titolo esattamente come se ci vivi da 50 anni. Credimi non è così scontato nelle città storiche essere accolti se non sei del posto. Racconto di come si è un po’ pionieri in tutto, nelle varie iniziative. A volte è difficile, perché la mancanza di tradizione e riferimenti può pesare, dall’altra può dare senso di libertà e sperimentazione. Vedere Latina da fuori aiuta tanto a capirne i bisogni, così come stare in una città che ha una fortissima produzione culturale come Firenze sollecita magari a capire quante cose si potrebbero fare a Latina per la cultura. Cultura intesa, ripeto, non come una sequela di iniziative, per quello ci sono gli impresari.
C’è già qualche idea per una seconda edizione di Latina sotto le Stelle?
In tanti, ma proprio tanti, mi hanno chiesto di ripetere, di riorganizzare. La fatica è stata tanta e tutto si è basato sulle nostre forze. Di idee ne ho tantissime, occorrerebbe replicare con qualcosa di nuovo e che nuovamente sia una risposta alle esigenze della città. Ci sarebbe tantissimo da fare per ravvivare e aggregare e non è una questione di soldi, si tratta di avere idee, conoscenza della città e conoscenza di cosa accade altrove. Alla fine della rassegna ero una persona felice e arricchita per le tante emozioni ricevute. Se c’è una cosa che mi piace fare è quella di mettere insieme le persone, aggregare intorno a un progetto. In più considera che amo la Storia e amo comunicarla in forme emozionanti.