di Stefania Crobe
SE TUTTO È URBANO
Se Holderlin profetizzava un abitare poetico, quello cui si assiste oggi – guardando alle più recenti teorie urbanistiche sull’urbanizzazione planetaria – è un’autoreferenzialità solipsistica che caratterizza molta della progettualità, dalla modernità ad oggi. Scenari che non rispondono più a bisogni né desideri e rivelano una mancanza di autenticità del progetto, una mancanza di aderenza alla realtà.
Un’urbanizzazione diffusa, con processi di concentrazione e di dispersione di cui la città non è che una di queste forme di urbanizzazione.
Ma se «la città è ovunque e in ogni cosa», le dicotomie città/campagna, centro/periferia, urbano/rurale risultano solo «punti di vista» che vagamente descrivono l’insieme che costituisce il referente mutevole dell’intera realtà.
In questa prospettiva, nella continua trasformazione di un tessuto urbano industrializzato in cui i centri di agglomerazione e i loro paesaggi operativi si intrecciano, nuovi modelli di polarizzazione centro/periferia si sovrappongono l’un l’altro attraverso i luoghi, i territori e le scale, creando nuove partiture in un rimescolamento continuo di accordi socio/spaziali.
Una crisi nella definizione dei confini che diventa opportunità nella misura in cui il margine, la fenditura, il limen diventano il terreno fertile di una possibile «ri-nascita» in cui dimensione simbolica e pratica si coniugano.
IL CENTRO NON ESISTE
Aree di margine, che usualmente vengono considerate al di fuori dei confini della città, in questa prospettiva, riscoprono una rinnovata funzione e diventano il luogo di una nuova prosperità. Non luoghi arretrati o residuali ma terreni di sperimentazione, di socialità, occasione di scoperta di un sistema di relazioni che nella città densa, profanata dal capitalismo e dalla speculazione, rischiano di perdersi.
Nell’era dell’urbanesimo planetario riacquistano nuova centralità quelle aree sostanzialmente lontane dai centri urbani, dai centri di offerta di servizi, un tempo fulcro vitale della vita delle comunità locali e oggi caratterizzate da processi di spopolamento, abbandono e degrado o peggio, dimentiche della loro storia, frutto di secoli di stratificazioni, a causa di un’incessante omologazione che le ha travolte dal secondo dopoguerra, producendo una progressiva perdita delle proprie differenze, delle proprie peculiarità, della propria storia.
SE L’ARTE È AL CENTRO, IL CENTRO È DAPPERTUTTO
Prometeo era uno dei Titani, fratello di Atlante, che formò il primo uomo dal fango, secondo la tradizione mitologica. Accusato di aver rivelato all’uomo il segreto del fuoco sottratto a Zeus, questi lo fece inchiodare ad una rupe del Caucaso perché un’aquila gli divorasse periodicamente il fegato che, altrettanto ciclicamente si riformava.
Prometeo – assunto a simbolo del progresso – è colui che donò agli uomini le scienze e le arti e simboleggia il passaggio dell’uomo da uno stato di natura ad uno stato di artificio. Il passaggio – per dirla come Michelangelo Pistoletto – dal primo al secondo Paradiso1.
Un passaggio epocale che ha prodotto un discrepanza tra le azioni che l’uomo compie e gli effetti che questi hanno sull’ambiente, naturale e umano, e che impone un ripensamento, un’azione, una ri-definizione delle modalità di agire, un nuovo modo di essere nel mondo.
«Oggi l’umanità intera si trova nella necessità di concepire un nuovo paradiso terrestre, attraverso la connessione e l’integrazione dei due precedenti paradisi, quello naturale e quello artificiale. Siamo in un momento di passaggio epocale. Con l’espressione Terzo Paradiso nominiamo un possibile percorso per l’umanità intera: un nuovo mondo. Cogliendo la funzione simbolica dell’arte, ho deciso di proporre un simbolo con il quale rappresentare questo cammino. Tale simbolo è tratto dal segno matematico di infinito, costituito da una linea continua che incrociandosi forma due cerchi. Nel Terzo Paradiso la stessa linea configura tre cerchi invece di due. Quello centrale rappresenta il grembo della nuova società»2.
Una nuova società animata da un impegno verso un cambiamento responsabile, una nuova geografia che pone l’arte al centro, passando attraverso tutti i campi del sapere e del fare.
Così il Terzo Paradiso è un segno che diventa simbolo di una volontà di cambiamento, una «ri-nascita» che si compie attraverso un impegno collettivo, attraverso la creazione di un’opera d’arte planetaria.
COLTIVARE LA CITTÀ. IL TERZO PARADISO PER «FARETERRITORIO»
Nella corsa alla modernità e all’artificio, l’uomo ha abbandonato il territorio a sé stesso, riducendolo a funzione, a orpello, a risorsa da sfruttare.
Sperimentiamo oggi una generale caduta dell’urbano in cui sembra avverarsi la «mort de la ville» preconizzata da Françoise Choay nel 1994. Una rottura delle relazioni co-evolutive fra uomo e ambiente3. Una rottura che può essere una fenditura in cui far crescere semi generativi se si riparte «da una lucida presa d’atto dello stato delle cose, se si riparte dai luoghi»4.
Una faglia che, dunque, può essere ricucita – non rammendata – attraverso la costruzione di relazioni, di intrecci, di innesti generativi tra parti differenti, anche contrastanti.
Stati di incontro che, per compiersi, necessitano di un primato della percezione sensibile, di un «filtro creativo» che, al pari del metodo scientifico, possano leggere e tradurre, attraverso un codice linguistico proprio, le realtà, per arrivare a nuove possibili progettualità, in un processo di soggettivazione che da uno va a molti.
Si tratta di costruire pratiche capaci di attivare da subito, e a partire dai saperi e dalle competenze acquisite, delle ipotesi di‘patti di vita’ collettiva fondati sul presupposto che la ‘crisi di modello’, più che una segnalazione dei limiti di sviluppo raggiunti, è l’indicazione di una svolta necessaria e radicale degli stili e dei bisogni di vita5.
Al dono avvelenato di Prometeo, si contrappone il dono generativo di una possibile «rinascita», possibile però soltanto attraverso l’assunzione della responsabilità, attraverso la ridefinizione della scala di priorità e di valori, l’adozione di diversi modelli di comportamento capaci di integrare nuovamente natura e cultura. Un nuovo modo di abitare poeticamente il mondo. Una «presa in carico» che l’arte persegue meglio di altri, per la sua capacità di attraversare i confini, aprendo brecce, di oscillare tra libertà e responsabilità, tra autonomia e eteronomia, tra teoria e pratica.
E’ così che il Terzo Paradiso, l’ambizioso progetto di Michelangelo Pistoletto e l’attività della sua Fondazione Cittadellarte diventano il motore generativo per una nuova idea di urbanità che riporta l’attenzione proprio al «margine» situando sul confine – quello urbano, ma anche quello disciplinare – la rinascita.
Se tutto è urbano nelle zone di confine tra città e campagna, tra urbano e rurale l’arte agisce in potenza facendo della periferia il fulcro delle pratiche di cambiamento, lontano dall’eco della città pur connettendo il mondo.
In nome di questa visione di rinascita molti territori al confine, in «provincia» – solitamente considerati marginali rispetto alle grandi città – ritrovano una nuovo fermento, danno forma a corpi amorfi, mettendo al centro l’arte e la cultura per una riappropriazione e trasformazione dello spazio urbano e sociale.
Una geografia «altra» si va configurando dalla necessità di costruire un terzo luogo di pensiero e azione tra mondo artificiale e mondo naturale per rendere generativi i territori.
A Exilles, in Val di Susa, il simbolo di rinascita va ad abitare le pendici del Forte di Exilles, creando un giardino di undicimila lavande montane – piante caratterizzanti il luogo e la sua microeconomia artigianale, fino a cinquant’anni prima – affidato a giovani imprese sociali per stimolare il ripopolamento del territorio e il recupero delle terre con progetti di agricoltura biologica.
Tra i Monti Lepini il Terzo Paradiso è d’ispiratore per la creazione di SITI Social Innovation Through Imagination, un laboratorio cross-disciplinare, itinerante e multi-situato di ricerca urbana e sperimentazione creativa che, in nome di questa poetica e usando «l’immaginazione come metodo», agisce attraverso processi di co-creazione. Un invito a praticare uno sguardo «altro» per una conoscenza, ri-semantizzazione e appropriazione del territorio e per la germinazione di nuovi cantieri di pensiero e di azione.
A Lamezia Terme il Terzo Paradiso diventa l’occasione per sensibilizzare le comunità locali e le scuole s su tematiche come l’ambiente, la solidarietà, la trasformazione responsabile, l’integrazione sociale.
Queste pratiche rappresentano solo alcuni semi di una germinazione planetaria che fa il giro del mondo. Una mappatura in fieri traccia dinamiche di cambiamento e vede crescere nuovi poli creativi che lavorano per trasformare la periferia in un microcosmo generativo. Queste pratiche incidono in maniera trasformativa – come agopuntura – nei territori, spesso situandosi proprio laddove la politica arretra e agendo politicamente, innescando dei processi critici di comprensione delle realtà, costruendo nuovi immaginari attraverso l’attività artistica e creativa.
Un’attività che cambia il nostro modo di percepire e si manifesta nell’incerto, nell’impalpabile o fugace e si rivela solo a un’attenzione profonda, in cui ci si ritrae, fuori di sé, e ci si immerge nelle cose. Un primato del sensibile in cui l’insieme non è mai la somma e che è «la percezione inevitabile dell’altro, come l’altro ‘dove’ che guarda il lato nascosto del cubo di cui vedo solo la parte rivolta a me»6
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Stefania Crobe, phd candidate Urban Studies, La Sapienza, Roma.
Ideatrice e curatrice SITI, laboratorio di ricerca-azione che indaga il rapporto tra arte e territorio (FB | sitidreamers).
Estratto da “Il Giornale delle Fondazioni” del 15 novembre 2015.
In copertina: ARTE e TERRITORIO. Riflessioni intorno al Terzo Paradiso con Michelangelo Pistoletto
5 novembre 2015, SITI Social Innovation Through Imagination, ISISS Teodosio Rossi, Priverno (LT)
1 L’etimologia di “paradiso” deriva dal persiano e indica il giardino, luogo protetto dalle asprezze e dai pericoli della natura con l’ausilio dell’artificio. M. Pistoletto, Omniteismo e Democrazia, Cittadellarte ed., 2012.
2 Ibidem.
3 A. Magnaghi, Editoriale. Forme e dimensioni territoriali di una nuova domanda di urbanità, in Cellamare C., Scandurra E. (a cura di), Ricostruire la città, Scienze del territorio/ n. 3, Firenze university press, 2015
4 E. Scandurra, Un paese ci vuole. Ripartire dai luoghi, Città aperta edizioni, 2007.
5 Intervista a Tiziana Villani, in E. Scandurra, G. Attili (a cura di), Il pianeta degli urbanisti e dintorni, Derive e Approdi, 2013.
6 M. Merleau-Ponty, Il primato della percezione e le sue conseguenze filosofiche, Medusa 2004.