di Francesca Busatto
Il Castello Errante di Howl è una pellicola dello Studio Ghibli, uscita nel 2004 e diretta dal celebre Hayao Miyazaki. Ambientato in una città fittizia dal gusto steampunk, che ricorda l’Alsazia degli anni antecedenti alla Prima Guerra Mondiale, il film racconta la storia di Sophie, una giovane ragazza schiava della routine, che cade improvvisamente vittima di un sortilegio. La sua vita si rivoluziona quando incontra il mago Howl, proprietario di un castello errante che, si vocifera, sia rapitore di ragazze su cui esercita il proprio fascino per farle innamorare e nutrirsi dei loro cuori.
La trama, come accade per molte opere dello Studio Ghibli, è piuttosto semplice ma ciò che rende il film un’opera straordinaria sono di certo la caratterizzazione dei personaggi – vari e bizzarri (fra cui spicca Calcifer, il demone del fuoco) – e i disegni che sono, senza dubbio, delle vere e proprie opere d’arte: dipinti a mano e con colori vividi, ti catapultano nell’atmosfera onirica tipica dell’autore. Le animazioni sono a dir poco perfette e le ambientazioni dettagliate. Non c’è, di fatto, un angolo di frame lasciato al caso.
Le cromie sono usate in maniera sapiente: la città da cui proviene Sophie è carica di tinte vivaci e avvolta da un sole splendente, mentre nelle scene di guerra il cielo diventa sulfureo e i colori cupi e asfissianti. Lo stesso possiamo notare riguardo il castello errante che non è altro che la rappresentazione della psiche di Howl.
Le musiche di Joe Hisaishi, poi, sono perfettamente in armonia con ciò che l’occhio scorge e donano, nel complesso, un’aura di misticismo tipica dei film d’animazione orientali.
L’intera pellicola ruota attorno al conflitto interiore dei due protagonisti. C’è un dualismo di fondo che li rende simili: lei, insicura ma caparbia; lui, bellissimo ma pessimista nei confronti di se stesso e del mondo, incapace di mettere fine ad una guerra che sembra essere più grande di lui. Il dualismo diviene anche estetico, metamorfico, quando si verificano l’invecchiamento di Sophie e la trasformazione in demone malforme di Howl.
Il pensiero rivoluzionario di Miyazaki, inoltre, sta nel non creare alcun antagonista (in controtendenza rispetto ai cartoni Disney che hanno cresciuto tante generazioni) perché, secondo sue dichiarazioni, è troppo facile trovare un capro espiatorio in un’unica persona o entità. Volendo, in questo caso, l’antagonista potrebbe essere individuato nella guerra, intesa come idea e non come atto oggettivo. La guerra interiore, appunto, descritta precedentemente.
È un film che non solo parla della forza dell’amore ma anche del conflitto esistenziale e lo fa in maniera delicata e poetica. Una carezza che ti smuove con la stessa forza di un pugno in pieno stomaco.