di Ornella Cotena
Ognuno di noi ha la sua storia e credo che in tutte le storie ci sia un pallone. Forse è per questo che la terra è tonda? Mi chiamo Ornella, ho 30 anni e sono napoletana. Oltre al fatto che qui Maradona è Dio, sono cresciuta in una famiglia nella quale il mondo del calcio è sempre stato presente. Ricordo una foto in bianco e nero: mio nonno, le mie zie, un pallone. Sì, lui allenava una squadra di calcio femminile. Sì, io ho studiato danza. Anche mio padre giocava a calcio e poi anche mio fratello. Quando andavo a vedere le sue prime partite, provavo una grande tenerezza nel rendermi conto che aveva gli occhi lucidi e non sapeva dove tirare. Era molto piccolo. Poi è cresciuto ed è diventato difensore. Questo ruolo mi è sempre piaciuto: difendersi da chi?, da cosa?, perché? Una cosa è certa: secondo me lui ha difeso e difende molto bene. E’ successo che ho difeso anch’io: alcuni mesi fa ho provato la fantastica esperienza di mettere i calzerotti e calciare un pallone. Non so bene com’è nata ma, insieme ad un gruppo di colleghi di lavoro, in piena estate, abbiamo organizzato una partita. Come se stesse già scritto da qualche parte, ho scelto di difendere. Una vera paladina della giustizia, no? Dai racconti dei miei compagni di squadra e anche da quelli degli avversari, ho giocato bene. Sì, giocare. Il pallone ti fa tornare bambino e, sudore a parte, ti fa ridere. Sembra un po’ la storia della nostra vita. La palla rotola e tu la insegui; quando riesci a prenderla ti immergi in uno stato di serenità e vittoria ma quando vuoi difenderti e invece gonfia la rete non è il massimo. E poi quanti vetri rotti? Quanti palloni bucati? Non conosco il motivo ma in giro c’è tanta gente che se la prende con i palloni. Per fortuna il pallone non è solo questo: è un grido di gioia, una vittoria, una birra, una chiacchierata, un ideale. Il calcio crea folli incontri e unisce magicamente orizzonti che forse non si sarebbero mai incontrati. Un giorno è successo che mio fratello è entrato a far parte di una squadra che si chiama Quartograd e da lì, anche se non da calciatrice, anch’io sono stata inghiottita da questa realtà. Infatti, non è la mia storia che voglio raccontarvi ma è la storia di una collettività. Il 26 giugno del 2012, a Quarto, in provincia di Napoli, è nata questa storia. Un gruppo di giovani, attivi socialmente sul territorio, decidono di creare un progetto di calcio differente che vada al di là del rettangolo verde. Alla base di questa idea c’è un ingrediente molto importante: la partecipazione popolare. Questa storia però non nasce all’improvviso, così su due piedi, ma è frutto di molte esperienze precedenti: amicizie solide, stessi ideali, tornei di calcio. Questa storia che vi racconto non è finita. E’ una storia che dura da cinque anni, anni in cui ci sono state crescite, cambiamenti, speranze, sogni, certezze che ci hanno portati nella categoria Promozione. La certezza più grande è, senza dubbio, la seguente: un altro calcio è possibile ed un altro mondo è necessario. Ma allora cos’è il calcio popolare? E’ una risposta rivoluzionaria dal basso, contro il calcio moderno, specchio della società capitalista nella quale viviamo. Disgustati da campionati falsi, speculazioni e divieti, il calcio diventa lo strumento per costruire una realtà migliore e dimostrare che lo sport appartiene a tutti. Le parole chiave sono tre: aggregazione, antifascismo, antirazzismo. Il Quartograd è nato grazie all’autofinanziamento, all’azionariato popolare ed è molto forte il rapporto con il nostro territorio. Tutti possono sostenere il progetto, anche da lontano, e sentirsi parte di una grande famiglia. Negli ultimi anni siamo anche riusciti ad effettuare degli scambi interessanti con le altre realtà e a stringere rapporti con tifoserie europee che ci hanno ospitati così come noi abbiamo fatto con loro. E continueremo a farlo. Ci sarebbero tante cose da raccontarvi e anche il pallone – forse non ci avevamo mai pensato – ha molte cose da dire.
In copertina: foto di Salvatore Bolognino