recensione
di Jamila Campagna
Tra i protagonisti di Più Libri Più Liberi 2019 c’è Guy Chiappaventi con il suo nuovo libro Mare Fermo, edito da Ensemble, pronto per essere presentato domenica 8 dicembre alle 16:30 nella Sala Polaris della Nuvola, a Roma: l’autore presenterà il libro con Federica Sciarelli, con la partecipazione di Alessandro Fulimeni, Alessandro Metz e dei calciatori rifugiati della squadra Save the Youths. L’incontro sarà accompagnato dalle musiche di Giulio Pantalei e come sempre sarà uno spaccato dell’approccio eclettico di Guy Chiappaventi, che non risparmierà emozioni, ironia arguta e aneddoti nel piacere di raccontare e divulgare.
Per questo non si può esaurire la descrizione di Guy Chiappaventi dicendo che è un giornalista e scrittore, perché sì, è entrambe le cose, ma lo è in un modo così pieno e audace che va a travalicare tutto ciò che possiamo ascrivere nelle categorie del giornalismo e della scrittura. Guy Chiappaventi è quello che in alcune culture potrebbe essere definito griot, quello che in altre epoche poteva essere definito cantastorie. A differenza di griot e cantastorie – che sono portatori della tradizione orale – Chiappaventi è un narratore della carta stampata, un artista della ricerca di archivio, della citazione giusta al momento giusto, con un pensiero enciclopedico e sottilissimo capace di mettere insieme voci, spazi e tempi attorno a un discorso che diventa sempre più vivo e tridimensionale man mano che sfogliamo le pagine dei suoi libri-inchiesta.
Se volessimo usare un termine contemporaneo, potremmo dire che è uno storyteller ma onestamente mi sembra che anche questa definizione gli calzerebbe stretta, non tanto per cosa sia lo storytelling in sé, quanto piuttosto per la capacità del suo raccontare libero e anarchico, che non cerca ammiccamenti e non si imbelletta in trame motivational o nella ricerca della morale della favola.
Le storie di Chiappaventi sono schiette – vibranti, accorate – come una gara agonistica, come un incontro di boxe. O come una partita di calcio. Nella macchina narrativa che Chiappaventi mette in piedi per tirarci dentro alla cronaca, spesso il calcio è una metafora buona per capire la società, la politica, i grandi eventi mondiali e i piccoli fatti della convivenza civica. Forse dire che è una metafora è improprio; probabilmente la cultura del calcio è una carta carbone che, a guardarla bene, mostra come vanno le cose della vita.
Nelle 168 pagine di Mare Fermo, Guy Chiappaventi aggiunge il mare alla dimensione del calcio per parlare delle disperate migrazioni di questi anni, in una formula che potrebbe essere quasi un romanzo di formazione se non fosse un report di attualità. Già il titolo ci mette su una pista metafisica. Chi ha mai visto un mare fermo?
Il Mare fermo, per paradosso, non è già più mare, è la spiaggia nella sua accezione più geografica, la sponda dove si arena ciò che arriva dal mare, il bordo da cui guardiamo l’orizzonte che si perde nell’acqua, sperando di vederci dentro solo il sole che tramonta o che sorge. Il Mare Fermo è come il gioco fermo quando la palla va fuori, quando un giocatore è a terra e l’arbitro ha fischiato fallo, punizione o, peggio, rigore. A gioco fermo i minuti corrono e sappiamo che vanno a finire nei minuti di recupero. Non sappiamo invece dove vanno a finire le vite del mare fermo, non quelle di chi perisce in mare, le vite di chi riesce ad approdare. Tutto sommato, in Mare Fermo, si parla pochissimo di mare, e quel “Fermo” nel titolo non è solo una condizione di immobilità: è la città di Fermo, nelle Marche, la pancia dell’Italia, quella provincia borghese che si è chiusa nel subire prima il picco e poi il collasso del boom economico che fu, dove gli ultimi cercano altri ultimi con cui prendersela, in quel quadrante italiano che di recente ha visto razzismo e antisemitismo gonfiarsi fino a diventare violenza assassina. A Fermo c’è la squadra di calcio Save the youth, che gioca in Terza categoria, i cui giocatori sono tutti rifugiati o richiedenti asilo. Una bella storia di resistenza e soprattutto una storia di amicizia, come la definisce lo stesso Chiappaventi, che a Fermo è andato a conoscere questi giovani uomini e le loro storie – e che in quella squadra ha persino giocato per 15 minuti in partita – per conoscere e raccontare cosa ne è di quelle – tante e variegate – vite di quelli che ce l’hanno fatta a non essere risucchiati dal mare (e dall’oppressione politica, dalla guerra, dal deserto, dalla Libia, dalla violenza degli scafisti, dall’indifferenza della politica, dal razzismo degli italiani).
In un rincorrersi di ricerche bibliografiche e filologiche – che sono una boccata di ossigeno per l’intelletto e riportano il presente italiano al suo contesto di sviluppo storico -, con un’apparato di immagini fotografiche di Ennio Brilli (che ha ritratto i calciatori della Save the Youths) e Gianfranco Mancini, in Mare Fermo, Chiappaventi restituisce la vicinanza di storie di cui tendiamo a non sentire più il bruciore straziante né il bisogno di riscatto, perché la copertura mediatica troppo spesso anestetizza, smette di evidenziare e copre.