di Vera Viselli
Due ore e 47 minuti distese in sei capitoli (sì, un po’ in stile Kill Bill) per raccontare di otto criminali e due diligenze che si ritrovano bloccati in una locanda immersa nella neve.
Capitolo 1, “Red Rock”: per circa mezz’ora potremmo pensare che i tre protagonisti dialogheranno all’infinito dentro e fuori la diligenza (S. L. Jackson sembra la versione successiva dello Stephen di Django Unchained), alternando botte alla prigioniera e ammirazione per la lettera di Lincoln. Ma la bufera incombe.
Capitolo 2, “Figlio d’un cane”: c’è ancora posto nella carrozza, quindi i tre raccolgono il nuovo sceriffo di Red Rock mezzo sepolto dalla neve – senza il quale i cacciatori di taglie non potranno riscuotere la ricompensa per i loro prigionieri.
Capitolo 3, “La merceria di Minnie”: è la locanda in cui decidono di aspettare la fine della bufera e dove troviamo le altre quattro facce di questo western imbiancato – con un T. Roth sempre da Oscar ed una citazione di Profondo rosso nella colonna sonora.
Capitolo 4, “Domergue ha un segreto”: inizia con il primo piano di una caffettiera avvelenata (sì, ricorda vagamente il bicchiere di latte di Hitchcock) e continua con una situazione che intreccia L’angelo sterminatore di Buñuel a Dieci piccoli indiani (in questo caso c’è addirittura il negretto-Warren) della Christie.
Capitolo 5, “I quattro passeggeri”: era necessario ed eccolo che arriva il flashforward narrativo a svelare il precedente segreto di Domergue.
Capitolo 6, “Uomo nero, bianco inferno”: ve lo ricordate il finale di Django? Ecco, mettete tutto quel sangue dentro ad una baita ed in mezzo ad un’immensa distesa di neve ed inchiodate per bene la porta. Due volte.
Un ultimo consiglio: evitate la versione doppiata, perché vi perdereste le eccessività degli accenti (su tutti, quello del messicano Bachir, già noto per Le belve di O. Stone e protagonista della serie The Bridge).