recensione, intervista e foto di Jamila Campagna
Alphabet A-E (Universal Music – Rea), l’ultimo progetto di Enrico Giaretta, pubblicato a settembre, è un album immediato, impetuoso ma al contempo delicato nel suo modulare suoni e sensazioni, facendo incontrare lo slancio dell’improvvisazione con la cura che un musicista esperto mette nell’approcciarsi al suo pianoforte, nel rimpire la musica di contenuti, nel cercare e trovare la giusta sequenza di note. Difficile risolvere il discorso su Alphabet con poche parole, così come è impossibile non dedicargli il giusto tempo, magari ascoltandolo in cuffia, con gli occhi chiusi. Merita un ascolto attento e sognante questo nuovo album di Enrico Giaretta, il cantaviatore, pilota di linea e musicista-compositore che nella sua carriera ha goduto dell’acustica e dei palchi delle migliori sale concerto del mondo.
Alphabet A-E è il primo disco di una trilogia, un concept album enciclopedico che vuole raccontare la musica dalla A alla Zeta – come ci dice lo stesso Enrico Giaretta nell’intervista appassionata che ci ha rilasciato alcuni giorni fa – cui seguirà la pubblicazione di Alphabet F-O e di Alphabet P-Z. Un album suonato tutto su un pianoforte centenario, uno strumento di cui, nella registrazione, possiamo apprezzare anche i suoni del materiale stesso: l’attrito tra i tasti, i martelletti sulle corde, la sapienza della costruzione strutturale che si interpone magicamente tra le mani del musicista e le note che escono dallo strumento. Cinque tracce che si inseguono in atmosfere suadenti e misteriose, nella dialettica tra l’esperienza di vita che ci finisce dentro e l’introspezione con cui si indaga se stessi e la vita. Crystal, il terzo brano, è il cuore dell’album e la vetta di questo inseguimento umano e musicale che va a sciogliersi nella malinconia sorridente dell’ultima traccia, Enamorarse, che procede per 17 minuti e 15 secondi con la grazia di una spirale aurea.
Alphabet è un album denso di storie e significati, ma è fresco come un bicchiere d’acqua quando si è assettati. Quel bicchiere che per Enrico Giaretta, entusiasta e generoso sia professionalmente che umanamente, è sempre mezzo pieno. Per tutti questi motivi, l’album Alphabet è anche un album di impegno che promuove la campagna umanitaria La scuola ti salva la vita di Intersos.
Enrico Giaretta classe70, originario di Latina, sei un pianista che ha una formazione accademica conseguita al conservatorio.
Vengo dalla musica classica, a un certo punto ho iniziato a scalciare, come dice la canzone di De Gregori, Bufalo Bill, c’era la locomotiva sui binari e c’era il bufalo libero. Mi sentivo più Bufalo, sono uscito fuori dai binari e sono andato oltre.
E così l’attività concertistica ti ha portato in giro per il mondo…
Sì, ho fatto un periodo di concerti con un grande violinista che veniva dall’Albania, un giovane talento del violino, Olen Cesari: per una decina di anni abbiamo girato il mondo nel vero senso della parola.
So che ti definiscono cantaviatore perché dal 2014 sei pilota di linea. Ma hai iniziato ad avere a che fare con il mondo aeronautico ancora prima di prendere il brevetto, con dei progetti musicali. Ci vuoi parlare dei due progetti con Alenia Aeronautica e Aeronautica militare?
Ero appassionato di volo da sempre, avevo iniziato a volare con piccoli aeroplani e avevo preso il brevetto. Da lì si era sparsa la voce che c’era un musicista che volava. Così venni contattato dalla Alenia per registrare un video su un jet militare supersonico che si chiama Eurofighter Typhoon 2000, assieme a Maurizio Cheli, astronauta che andò in missione spaziale anni fa. Così mi sono appassionato ancora di più, ho continuato gli studi da pilota e ho deciso di prendere il brevetto per pilotare aerei di linea. Subito dopo l’Aeronautica militare mi ha contattato per comporre la colonna sonora delle Frecce tricolore in occasione del 50esimo anniversario di una pattuglia acrobatica. È stato tutto un susseguirsi: musica e aeroplani, aeroplani e musica. Fino ad arrivare in Alitalia da pilota.
Partendo dal presupposto che sei un compositore, uno sperimentatore che ha respirato jazz e cantautorato internazionale. Nel tuo primo album, Sulle Ali della Musica, ci sono state molte collaborazioni importanti, tra cui quella con Pharell Williams che ha curato la ritmica di Migrazioni. Qual è il valore aggiunto che si ottiene nella commistione tra musica autoriale e l’hip hop, il pop, delle situazioni musicali più mainstream?
Il valore aggiunto è totale perché parte da un rapporto di amicizia proprio tra questo mio amico violinista, Olen Cesari, che ha passato lunghe notti in chat con Pharrel William a scriversi informazioni su programmi musicali. Queste chat notturne poi hanno portato a conoscerci e una notte è nata l’idea di costruire insieme una ritmica per questo disco. Qualcosa di simile è successa anche con Tony Levin, il bassista statunitense della band di Peter Gabriel, che ha scelto di partecipare sempre in quel disco. La cosa di cui vado fiero è che lo hanno fatto a titolo gratuito, non era un lavoro per loro, era un piacere.
Poi Toni Levin è venuto anche a Sanremo per fare tre concerti con me durante Sanremo Off, la famosa manifestazione parallela al Festival di Sanremo che veniva organizzata da Pepi Morgia. In quei giorni si parlava sui giornali di Tony Levin a Sanremo con l’aggiunta “ma non è qui per il Festival… è in concerto con Giaretta”! E chiunque si chiedeva chi fosse questo Giaretta – ancora non molto famoso – che faceva questi concerti in Piazza Colombo e al Palafiori con Tony Levin!
Era una sorta di lato b di Sanremo, che in quanto tale non poteva non essere altrettanto pregiato nella qualità.
Sì, poi devo dire che mi sono divertito molto, perché Tony Levin attirava altri artisti. Vennero Fabrizio Bosso, Federico Zampaglione, il chitarrista produttore Phil Palmer – chitarrista produttore di Zucchero -, Stefano Di Battista, Amedeo Ariano, Olen Cesarin… Sembravamo dei bambini che si divertivano come dei pazzi in un parco gioco.
A proposito di grandi collaborazioni, hai lavorato per 13 anni con il Maestro Franco Califano sia come pianista che come coautore. Tredici anni non si posso riassumere in poche parole, vuoi provare a raccontarci qualcosa di questa esperienza?
Se dovessi fare una sintesi, posso dire che ho suonato con Califano per tanti anni. Ma Califano ha cambiato molti musicisti, mentre io posso raccontare di averci vissuto assieme, nella stessa casa, per 10 anni: io, lui e un cameriere. È stata una grande esperienza che mi ha lasciato una grande eredità, ero molto giovane e ho avuto modo di assorbire moltissimo, sotto tutti i punti di vista.
Il 20 settembre è uscito il tuo nuovo progetto discografico Alphabet e il tuo compagno è stato questo pianoforte pieno di storia, che ha cent’anni. Hai scelto di fare una registrazione diretta, senza sovraincisioni in fase di postproduzione. Vuoi spiegarci le ragioni concettuali e musicali che sono alla base di questa scelta?
Mi sono innamorato di questo pianoforte e l’ho portato a casa, in quel periodo abitavo a Milano. Tutte le mattine, da tanti anni, per abitudine appena sveglio mi siedo al pianoforte con una tazza di caffè e suono, senza pensare a nulla, senza metà ben precisa, poi da lì vengonofuori delle idee che una alcune volte diventano musiche di un film, alcune volte una canzone, a volte nulla. Una mattina mi accorsi che venivano fuori delle cose interessanti da quelle improvvisazioni ma non le fermavo. Dopo due ore di semi trance al piano, avevo il rimpianto di non avevo fermato nulla. Presi dei microfoni e creai un piccolo off studio attorno al piano e così la mattina appena sveglio e prima di mettermi a improvvisare premevo rec e registravo. Una volta ascoltato tutto il materiale mi sembrava irrispettoso prenderlo e risuonarlo, re-inciderlo, correggerlo. E quindi ho detto “io sono questo, in fondo, la verità della verità”. Volevo chiamare il disco real, true. Poi ho deciso di chiamarlo Alphabet, perché volevo raccontare tutto di questo pianoforte dalla A alla Z, dai rumori alla sua storia, tutto quello che ne faceva parte, comprese le note naturalmente. La verità dalla A alla Z. Poi arriveranno Alphabet F-O e Alphabet P – Z.
Un esperimento di rough music, mi viene da dire, degli sketch…
Sì. Totalmente improvvisato.
Ci sono anche degli inserti vocali molto interessanti.
Sì, gli inserti vocali, nel brano Crystal sono nati dopo: Marcello Murru – grande amico e autore fantastico che scrive per pochi, scrive per se stesso principalmente – ha tirato fuori qualche verso interessante e abbiamo deciso di fermare delle persone casuali per strada, chiedendo loro di dire quelle frasi per registrarle con un telefono. Sono parole che seppur pronunciate da persone che non si conoscono – e mai si conosceranno – mantengono un filo logico comune.
C’è qualcosa in particolare da cui hai tratto inspirazione per questo album?
Queste registrazioni sono andate avanti oltre l’album. C’è un brano che uscirà nel prossimo Alphabet dove ho messo dei versi io e dove canto, è un po’ autobiografico e mi sono rispecchiato nella mia famiglia che è la cosa più preziosa ora nella mia vita.
Sai già quando usciranno i prossimi due Alphabet?
Alphabet F-O è praticamente pronto, uscirà molto presto. Mentre per Alphabet P-Z ho altre idee in mente, non lo registrerò con lo stesso pianoforte e sarà un po’ diverso rispetto agli altri due album che lo precedono.
Strettamente collegato a questo album c’è il progetto La scuola salva la vita dell’organizzazione umanitaria Intersos, di cui sei portavoce e attivo sostenitore. È possibile aderire al progetto con una donazione e ricevere in regalo una breve composizione da te creata ed eseguita, con l’idea sinestetica di unire lettere e musica: c’è una composizione per ogni lettera dell’alfabeto e ciascuno può scegliere la propria iniziale. Com’è nata questa collaborazione?
L’idea è nata per caso: collaboro con un editore, Pizzardi, che è l’editore de Gli amici cucciolotti, con cui abbiamo fatto un disco, e questo editore sosteneva alcune realtà umanitarie tra cui Intersos, che in quel momento portava avanti questa campagna sulla scuola. Il mio disco si chiama Alphabet ed è stato spontaneo accorgerci che ci trovavamo nella dimensione dell’educazione, dell’apprendimento, della scolarizzazione. Mi piaceva l’idea di fare qualcosa per questi ragazzi, per carattere sono una persona che si dà molto e sono felice se riesco in qualche modo a dare una mano a qualcuno.
Per la campagna La scuola salva la vita è stato realizzato un video, con la voce narrante di Vincenzo Mollica, nel quale si vedono questi bambini del cosiddetto terzo mondo nelle loro classi, alla lavagna. Nel video ricorre la frase estratta dal brano Crystal “Ci sono storie per continuare a credere”. Che interpretazione dai a questa frase?
Sono sempre stato una persona positiva. Ho scelto quella frase perché è un’idea che porto sempre in mente a partire da un monologo di Califano, Nun me portà a casa, dove lui impersonava un alcolista che non aveva un buon motivo per tornare a casa ed era fuori a bere con un amico al quale racconta la sua disperazione. Poi trova un appiglio, pensa “so fare bene poche cose, però so fare la spesa molto bene, mia moglie è contenta, ne va orgogliosa” e così chiede all’amico di accompagnarlo a casa. Quel piccolo pensiero “sono bravo a fare la spesa” è motivo di speranza, c’è sempre un qualcosa a cui aggrapparsi per ripartire. C’è sempre una storia per continuare a credere.
Nel caso di Intersos, quando uno vede un ragazzo che dal nulla in Paese disagiato riesce ad essere scolarizzato, istruito, cresce e addirittura diventa fonte di istruzione per altri ragazzi che hanno passato ciò che ha passato lui, beh, si tratta di una di quelle storie che ti fanno capire che vale la pena di continuare a credere in qualcosa.
Invito ad andare sul sito di Intersos per contribuire e sostenere il progetto. Voglio ringraziare Vincenzo Mollica perché è una persona splendida che si è subito prestato alla causa quando lo abbiamo contattato, sono molto felice del suo supporto e di averlo incontrato varie volte nel mio percorso in questi anni.