di Gaia Palombo
A quindici anni di distanza dagli esordi discografici con i Baustelle, Rachele Bastreghi debutta come solista con Marie, un Ep di sette brani ispirati alle atmosfere degli anni Settanta. Quattro inediti, due cover e una traccia strumentale come le tappe di un viaggio nel tempo e insieme di un percorso introspettivo. Musica e suggestioni di una Francia retrò, che lungi dal cedere a passatismi nostalgici, denotano un’impronta al contempo attuale e dinamica.
1 Marie canta l’abbandono, la solitudine, la conseguente ricerca – vana – di ciò che si è stati e, infine, canta di ciò che resta: il ricordo.
L’Ep si apre con il brano Senza essere, il cui primo verso cita: «Stringo i miei ricordi tra le dita», per poi concludersi con una cover degli Equipe 84, Cominciava così, che termina ancora con il rimando a un ricordo. Questa coincidenza mi ha fatto pensare a una inclinazione ciclica, segnata dalla persistenza del ricordo anche in altri brani; tale ricorrenza si manifesta nella dialettica di immagini ora evanescenti, ora più concrete, carnali. Come definiresti il tuo rapporto con la memoria e i ricordi?
Nel bene e nel male, il ricordo è un caro compagno di vita e ci faccio i conti quotidianamente. Sono affezionata al passato, alle esperienze e alle persone vissute, ma questo non mi impedisce di andare avanti e di amare e vivere con intensità il presente. Almeno ci provo. Il passato rappresenta quello che sono oggi e mi viene naturale custodirlo, ascoltarlo, odiarlo o volergli bene. Mi mette in contatto con una parte profonda, soprattutto nel momento in cui mi esprimo con la musica.
2 Il lavoro all’interno di un gruppo musicale si basa essenzialmente su confronto e sinergia; questo tuo nuovo percorso da solista, dunque, ha inevitabilmente inciso sotto il punto di vista progettuale e produttivo. Come scrive e compone Rachele dei Baustelle e come lo fa, invece, Marie?
La scrittura e la composizione sono praticamente le stesse, sia per Rachele dei Baustelle che per il lavoro su Marie. Sono canzoni nate in totale solitudine, dentro le mura di casa, suonando uno strumento vero o giocando con quelli di Logic. Canzoni che escono da uno sfogo, dalla voglia di divertirsi o dall’esigenza intima e profonda di comunicare qualcosa. Con i Baustelle scrivo musica e poi mi confronto in un secondo momento con Francesco e Claudio, ci scambiamo idee e materiale, arrivando insieme al completamento di una canzone. Nel caso di Marie ho scritto la musica e i testi, collaborando anche con Claudio Brasini per Senza essere e con Dario Faini per Il ritorno. Poi ho lavorato insieme a Giovanni Ferrario, che ho voluto come produttore e che mi ha aiutata molto sia dal punto di vista psicologico che musicale.
In generale mi piace molto stare sola nel momento creativo, forse è l’unico modo in cui riesco a tirare fuori qualcosa; tuttavia amo condividere tutto il resto con gli altri.
3 Gli anni Settanta, a cui ti sei ispirata, conservano un’aura particolare, quella di un periodo fecondo e fervente non solo sul piano musicale, ma su quello culturale nella sua totalità. Pensando al cinema, e parlando di immagini, quanti fotogrammi di film immaginari – o che realmente hanno avuto un peso nel tuo bagaglio culturale – potrebbero esserci in Marie?
Gli anni Settanta, così come i Sessanta, mi affascinano moltissimo, musicalmente ma non solo.
Nel caso di Marie c’è stato uno sguardo mirato al passato anche perché l’idea dell’Ep è nata da una canzone scritta appositamente per una Fiction di Raiuno ambientata nel 1970. Così ho cercato di approfondire il viaggio in quelle atmosfere, spiando i vari personaggi che le hanno caratterizzate e ispirandomi sia per la musica sia per dare forma e sostanza a Marie. Una Nico, una Jane Birkin, una sorta di Jim Morrison al femminile, direi.
Per quanto riguarda i film, ci sono tante cose che mi piacciono del passato. Sicuramente i video in bianco e nero di Andy Warhol con Edie Sedgwick e alcune cose di Godard con Anna Karina mi hanno ispirata, da un punto di vista stilistico e di immagine, per il video de Il ritorno, realizzato con Fabio Capalbo.
4 Definirei Marie un album sugli stati d’animo; un lavoro complesso, poco lineare e contraddittorio.
Hai dichiarato che inizialmente la tua volontà era quella di non comparire in copertina per cedere il posto a Marie, semplicemente, una misteriosa chanteuse. Il nome, dapprima imposto dall’interpretazione nella fiction, è diventato il tuo alter ego. Questa doppiezza con la quale hai giocato, ti ha agevolato nell’elaborazione e nella mise à nu di contenuti personali?
Inizialmente volevo far parlare solo Marie, ero convinta che fosse una bella idea e non volevo comparire, addirittura avevo pensato a una copertina con me di spalle, davanti a uno specchio, con il vetro rotto proprio all’altezza del viso. La casa discografica però era un po’ contrariata. Piano piano ho capito che espormi era un passo che dovevo fare, per me in primis. Il personaggio di Marie mi è servito anche per questo, per uscire fuori ma soprattutto per guardarmi dentro e in qualche modo crescere. Parla lei e parlo anche io.
5 Il disco è stato registrato in una location molto suggestiva e appropriata: le Officine meccaniche di Mauro Pagani, dove hai potuto lavorare a contatto con numerosi strumenti d’epoca. Puoi raccontarci la tua esperienza in questo contesto?
Avevo già avuto la fortuna di poter lavorare più di una volta alle Officine meccaniche con i Baustelle, sono stata molto felice di poterci tornare anche per il mio disco. È tutto molto bello lì: dalle sale che si hanno a disposizione, alle persone che ci lavorano, agli strumenti vintage che si possono utilizzare. Si sta bene e si lavora molto bene. È stata una bellissima esperienza condivisa con gli altri musicisti, con cui mi sono trovata benissimo sia dal punto di vista umano che professionale. In più, registrare nella grande sala A in presa diretta, un po’ vecchio stile, con tutta la band, me compresa, è stato veramente emozionante.
6 Il ritorno, a differenza degli altri brani contenuti in Marie, sembra essere, per taluni versi, a sé. Uno scenario che muta in seguito a un «colpo di freni», un impatto violento e una successiva, preziosa, presa di coscienza. Le immagini suggeritemi da questo brano, mi hanno portato alla mente una lirica di Rainer Maria Rilke:
«Tous mes adieux sont faits. /Tant de departs/m’ont lentement formé dès mon enfance. /Mais je reviens encor, je recommence, /ce franc retour libère mon regard. / Ce qui me reste, c’est de le remplir, /et ma joie toujours impénitente /d’avoir aimé des choses ressemblantes/à ces absences qui nous font agir. »[1]
Alla partenza subentra un chiaro e deciso ritorno…
Ti ringrazio! Un onore per me. Mi fa molto piacere se ti ho riportato a questa bellissima poesia e a questo grandissimo poeta.
Il ritorno è un brano a sé, in effetti, l’ultimo ad essere inserito nell’Ep; una canzone che avevo nel cassetto, scritta tempo prima. Per l’occasione l’ho nuovamente denudata e vestita ad hoc.
Qui si parla della riscoperta della forza di un sentimento, la sua rinascita, il suo ritorno. Di fronte a una possibile tragedia o perdita, ho capito quanto fosse importante amare qualcuno o qualcosa, oppure se stessi. Può avere più interpretazioni ma questo l’ho capito solo poco tempo fa. La canzone nasce infatti da un vero e proprio viaggio in auto mentre ritornavo a casa dalla Toscana, verso Milano. Un percorso che sembrava del tutto spensierato e che a un certo punto è stato messo a rischio da un mancato (per un pelo) incidente in autostrada.
Succede spesso che da esperienze brutte, da situazioni di grande disagio o di dolore, vengano fuori paesaggi meravigliosi e si ricomincia da qualche parte, in genere con una forza maggiore.
7 Il ritorno che libera lo sguardo sembra viaggiare di pari passo con le parole e le melodie del tuo brano. Tuttavia, non mancano metafore indefinite – «il sapore di un cielo sfumato», «l’odore d’inverno sfiorato», «il rumore di un coro stonato» – che non tradiscono fino in fondo i toni predominanti dell’album.
Rimane dunque una sospensione di fondo, una tensione non risolta; è errato interpretarla come una tua inesauribile ricerca?
Sì, credo di essere in ricerca perenne, di cosa però non lo so! Scrivere, suonare e cantare mi aiutano ad affrontarmi, a conoscermi e ad essere me stessa. Sono una persona molto irrequieta e mi metto spesso in discussione, a volte non è male per niente ma altre volte mi rendo la vita difficile.
La musica, in qualche modo, accompagnando tutte le partenze e i vari ritorni, libera il mio sguardo e lo fortifica.
[1] «Tutti gli addii ho compiuto./Tante partenze/mi hanno formato fino dall’infanzia./Ma torno ancora, ricomincio,/nel mio ritorno si libera lo sguardo./Mi resta solo da colmarlo,/e quella gioia impenitente/d’avere amato cose somiglianti/a quelle assenze che ci fanno agire».