di Vera Viselli
Billions
B. Koppelman, D. Levien, A. R. Sorkin
USA, 2016
Per chi credeva che la serie rock dell’anno fosse Vinyl, attenzione, niente di più falso. È Billions, la serie di Showtime ideata da Brian Koppelman, David Levien e Andrew Ross Sorkin – giornalista, quest’ultimo, autore del best seller Too big to fail – Il crollo, in cui racconta (attraverso 500 ore di interviste, con documenti riservati, email e registrazioni audio) la grande bolla economica made in Usa che, purtroppo, sta ancora ampiamente imperversando in Europa. Nel libro, ambientato nella New York del 2008, Jamie Dimon, della JP Morgan (terza banca americana) cerca di salvare, insieme ad altri 12 persone, la Lehman Brothers dal fallimento e di evitare un effetto domino di proporzioni globali – sappiamo bene, in realtà, com’è andata. Billions analizza, partendo da queste basi, la lotta fra la giustizia (il #TeamChuck, ovvero Chuck Rhoades, procuratore distrettuale di New York, interpretato dal solito splendido Paul Giamatti) e business, ossia il #TeamAxe, capitanato da Bobby ‘Axe’ Axelrod (Damian Lewis) – non vi sfugge, vero, l’assonanza del suo cognome con Axl Rose – che, con i fondi speculativi (i cosiddetti ‘hedge fund’) si muove molto, molto al limite della legalità nello scambio azionario. Se Chuck risulta estremamente integerrimo (almeno inizialmente), Axe sa perfettamente di essere eticamente compromesso – la sua fortuna finanziaria è macchiata dal sangue dell’11 settembre – ma, proprio per questo, è la persona esistenzialmente più libera in quel tipo di universo. La caccia tra gatto e topo che lo vede protagonista con Rhoades è, per lui, più una sorta di sfida alla morale pubblica, perché arriva ad ottenere tutto quello che vuole. Questo particolare evoca, in modo alquanto prepotente, un tipico e profondo desiderio americano: riuscire ad essere ricchi significa essere al top della mascolinità. Una mascolinità che trova l’apice dell’erotismo non nei giochi sessuali di cui Chuck non riesce a fare a meno (dominatore della giustizia, nell’ambito privato ha bisogno di vedersi dominato, assoggettato), ma nella corruzione e nella possibilità di trovarsi a poterla esercitare.
Ecco, quindi, il vero senso della serie: non si occupa tanto delle interconnessioni tra politica, potere e giustizia, quanto di quello che una persona desidera davvero. Axe, rivela uno dei suoi impiegati, fa “tutto quello che vuole. Quando sei al suo livello, sei più simile ad uno Stato-nazione che ad una persona”. Bobby, infatti, qualsiasi cosa faccia, è un essere a metà tra una divinità ed una rock star (a proposito, imperdibile il cameo dei Metallica in uno degli episodi di questa prima stagione) e, come scrive il New York Times, “quando gli americani amano il giocatore, tendono a chiudere un occhio sul gioco”. Un po’ come per O. J. Simpson.