di Arianna Forte
Dopo la versione pilota dell’anno scorso, dal 13 al 17 aprile Roma ha accolto l’edizione scintillante e superaffollata del BNL Media Art Festival. Grandi numeri, tantissimi artisti e ospiti coinvolti e una fitta rete di eventi e collaborazioni con illustri enti come il MiBACT, il Google Art Institute, la Rufa e molti altri, tutto ciò in nome del connubio tra arte e tecnologia.
I veri protagonisti e i diretti interessati del festival, però, sono stati i giovani e il loro futuro. Mai come in questi giorni la complessità dei volumi e le pareti curvilinee del museo MAXXI avevano visto i suoi ambienti gremiti di adolescenti e bambini. Dirette a loro, infatti, erano gran parte delle iniziative promosse; tra le più lodevoli ci sono stati i 12 laboratori per altrettante scuole condotti da 13 artisti, finalizzati a produrre, in sinergia con gli alunni, dei progetti artistici digitali, a cui poi è stato dedicato un concorso, il quale è stato vinto infine dagli studenti seguiti dal sound artist Simone Pappalardo con l’installazione sonora Murmur L.C. Librans: una sorta di Intonarumori[1] strampalato costituito da strutture tubolari recuperate dagli scarti della scuola, intrecciate con piccole trombe. Questa assurda orchestrina ha poi preso vita ed è stata suonata il 16 aprile da Pappalardo stesso accompagnato dal flautista Giovanni Trovalusci.
Guardando al concorso ufficiale invece, si rimane un po’ frastornati nell’aggirarsi tra le opere affastellate nella semioscurità dello spazio museale, interrogandosi su quale fosse difatti il comune denominatore che le definisse media art, mettendo in conto che oramai video, installazioni e realtà aumentata sono da tempo in ogni museo. Superato questo piccolo disorientamento si sono potuti apprezzare i lavori più interessanti. Tra questi, Tapebook di Cesar Escudero Andaluz è un’operazione di digitalizzazione al contrario, una sorta di analogizzazione del web. Le informazioni prese dai profili Facebook dedicati a pensatori e filosofi (come Lacan, Barthes, McLuhan o Foucault) vengono trasformate in tracce audio riversate sul nastro delle audiocassette. Gli utenti ne devono fruire attraverso un piccolo registratore e si scoprono impacciati nell’uso di questa tecnologia da poco abbandonata ma già obsoleta. Tapebook diventa una sorta di social network analogico, in cui per sapere “cosa pensa” un determinato autore bisogna scegliere la relativa cassetta. Di grande attrattiva era Metamorphy, il velo che si anima appena lo si tocca con la mano, opera del duo Scenocosme, mentre meno d’impatto ma frutto di una complessa ricerca scientifica era l’enigmatica Twisted Light. Freddy Paul Grunert, socio fondatore del ZKM Centro per l’arte e Media di Karlsruhe, assieme allo scienziato Fabrizio Tamburini hanno lavorato sulla visualizzazione di ciò che non è percepibile ai sensi umani come i campi magnetici.
Facendo un bilancio di questa edizione scoppiettante del festival si può affermare che sicuramente il suo pregio principale è stato quello di aprirsi alle nuove generazione e di introdurle ad un uso creativo della tecnologia, proseguendo la mission del suo principale ente promotore la Fondazione Mondo Digitale. Non si può negare che il direttore artistico Valentino Catricalà abbia cercato di dare un respiro internazionale alla manifestazione, coinvolgendo specialisti dei nuovi media, artisti e ricercatori: primi tra tutti Gerfried Stocker, il direttore del Ars Electronica di Linz il più grande centro di ricerca multimediali europeo assieme a Siegfried Zielinski, studioso tedesco di archeologia dei nuovi media e a Piotr Krajewski, direttore del WRO Art Center di Breslavia.
Ci si augura quindi che attraverso questa fitta rete di contatti e relazioni possa nascere anche in Italia un vero centro di ricerca e di riferimento per l’arte e la tecnologia. Intanto il BNL Media Art Festival si affianca agli eventi consolidati che nella Capitale si occupano da anni di arti digitali, come Digitalife e il LivePerformersMeeting, differenziandosi da questi per la sua veste più istituzionale e ufficiale e per il suo piglio educativo.
[1] L’intonarumori è un’opera del 1913 del futurista Luigi Russolo.