Romaeuropa Festival 2019 // 24 novembre 2019 // Auditorium Parco della Musica di Roma
recensione e foto di Jamila Campagna
Fennesz è tornato all’Auditorium Parco della Musica di Roma per la 34esima edizione Romaeuropa Festival – era già stato protagonista con Sakamoto nel 2004 per il concerto Sala Santa Cecilia, evento che venne registrato in un prezioso live cd – accompagnato da Lillevan che per l’occasione ha curato un flusso visual intrinsecamente connesso alle sonorità del musicista austriaco.
La presentazione dell’ultimo album di Fennesz, Agorà, è arrivata nella Sala Sinopoli dell’Auditorium, con un’ampia partecipazione di pubblico nonostante fosse un evento pomeridiano, tra le fila dell’affollata programmazione prevista per l’ultima giornata del Festival
Agorà è un album particolare all’interno della produzione di Fennesz, un album difficile per certi versi, dove l’uso di chitarra elettrica e computer raggiunge virtuosismi altissimi e astratti, spesso ermetici, ai quali doversi applicare con attenzione per poter trovare la giusta via d’ascolto attraverso un pattern sonoro fitto e intricato. Di Agorà è singolare anche la dialettica tra la genesi dell’album e il suo titolo: realizzato a seguito della perdita del proprio studio di reagistrazione, allestendo la strumentazione nella piccola camera da letto del suo appartamento, l’idea predominante sarebbe quella di una chiusura, un po’ introspettiva e un po’ claustrofobica, se non fosse che l’agorà era la piazza della polis nell’Antica Grecia e quindi tutto slitta verso l’idea di apertura, che forse è l’open space telematico, virtuale, quella rete che ci mette tutti su una piattaforma-piazza comunicativa anche se siamo lontani e fisicamente ritirati nelle nostre stanze.
Sembra strano parlare di dialettica per un live dove la materia sonora si è presentata densa, senza grandi contrasti né polarità. Ma la dualità del contenuto musicale è viva nell’essenza stessa del tipo di musica ambientale creata da Fennesz in questa occasione live ed è stata ricorrente anche nei visual accuratamente studiati e performati da Lillevan, un piano di proiezione dove ha saputo fondere elettronico e organico nella pulsazione di segni luminosi che si addensavano, sfilacciavano, esplodevano e si frammentavano nella complementarità dei toni arancio e azzurro, colori caldi e colori freddi, ghiaccio incendiario nella perfetta sinestesia tra gli input ricevuti attraverso gli occhi e quelli ricevuti attraverso l’udito. In Agorà live, la vibrazione sonora di Fennesz è cupa e penetrante, è una risonanza incassata e abissale, un ventre in cui immergersi fino a una illimitata profondità. Quella specie di fragoroso rumore bianco fatto arte porta l’ascoltatore fin dentro al nucleo del conoscibile per poi trascinarlo a milioni di anni luce.
Come toccare uno specchio con un dito e provare a guardare da vicino per vedere dove finisce la superficie e inizia il riflesso, così ci si pone in una dimensione liminare per ascoltare Agorà. Come percorrere una striscia di Möbius, ci si trova da un lato e poi dall’altro: la discesa incalcolabile da cui arrivano quei suoni si ribalta e diventa un’altezza illimitata, il diagramma ruota di 180°, dentro è fuori, il centro è esterno, il sotto è sopra. La profondità interiore, il viaggio al centro della Terra, le 20mila leghe sotto i mari, ora sono una lontanissima – quasi insostenibile – profondità cosmica. Space Odyssey fino all’Occupy Mars stampato sulla t-shirt di Lillevan. Ma anche oltre, fin dove arriva l’immaginazione.