di Arianna Forte
Lampi iridescenti tagliano l’oscurità cavernosa dell’ex centrale elettrica di Berlino est, mentre un tuonare elettronico e schiocchi metallici li accompagnano; con freccianti pennellate luminose colpiscono, accendendole per qualche secondo alla volta, una moltitudine di sfere fluttuanti che disegnano scie e percorsi intermittenti, ora dai colori freddi poi da quelli caldi. Muovendosi in configurazioni sempre nuove danno luogo ad abbaglianti e arzigogolate coreografie. Le sfere danzanti si congiungono tra loro in scintillanti connessioni effimere e diventano, agli occhi di chi guarda, reti neurali, costellazioni astrali, circuiti elettrici o più che altro, come suggerisce il titolo dell’opera, reti cibernetiche.
Deep Web è l’installazione audiovisiva-cinetica del light artist Christopher Bauder e del musicista e compositore Robert Henke, presentata in occasione del CTM Festival dal 2 al 7 febbraio 2016.
La suggestiva architettura industriale di Kraftwerk Berlin ha ospitato questa mastodontica struttura di 25 metri di ampiezza e 10 metri di altezza. Muovendosi in alto e in basso, sincronizzate sul ritmo lento e profondo della traccia multicanale originale composta da Henke, le 175 sfere motorizzate vengono illuminate da 12 potenti impianti laser, che creano disegni di luce scultorei e tridimensionali. Come in un enorme carillon meccanico, la messa in scena si ripete in loop per 30 minuti, grazie al Kinetic Light System, un complicato sistema di argani controllato digitalmente, ideato da Bauder stesso.
Tutto l’apparato tecnico di Deep Web è volto a creare un’opera oltremodo immersiva e monumentale. Lo spettatore, infatti, è totalmente abbacinato dalle composizioni di luci scintillanti come di fronte a dei fuochi d’artificio digitali. Allo stesso tempo la ripetitività delle coreografie geometriche di linee e punti sortiscono su di lui un effetto ipnotico. Così nell’atmosfera buia dell’edificio, lo spettatore si ritrova in uno stato di semi-trance e di meraviglia simile a quello del neonato che ammira le giostrine mobili sospese sulla culla: sprofonda in fantasie astratte mentre si abbandona agli stimoli sonori e visivi dell’installazione. Da questo punto di vista in Deep Web sembrano riecheggiare le sperimentazioni sul ritmo visivo degli Optical Poem, i film astratti animati degli anni 30’/40’del cineasta Oscar Fishinger. Così come l’estetica dell’installazione ricorda le spettacolari opere di pura luce di James Turrell e i suoi studi sulla percezione umana.
Deep web può essere considerata il risultato finale delle ricerche decennali di entrambi gli autori, sia nelle loro carriere separate che nelle loro collaborazioni.
Bauder, con il suo studio WHITEvoid, dal 2004 porta avanti progetti interattivi, di design multidisciplinare e ingegneria elettronica, con il quale ha brevettato il Kinetic Light System. Henke, invece, è un rifermento nel campo della musica elettronica sia per il progetto di techno sperimentale Monolake, e ancora di più per aver sviluppato software e hardware determinanti per la composizione di musica digitale e per la sua attuazione performativa, ad esempio l’onnipresente Ableton Live. Insieme avevano già sperimentato performance e installazioni cinetiche, sempre interrogandosi sul rapporto tra suono, luce e movimento: Atom, del 2007, consiste in una matrice di 64 palloncini a gas che si muovono a ritmo della traccia sonora e Grid, che dal 2013 a oggi ha avuto molte release, le cui strutture di triangoli di led emergono dal soffitto dell’edificio ospitante, muovendosi in corrispondenza degli impulsi sonori che vengono forniti.
Deep web è l’evoluzione di questi due progetti in una versione grandiosa e più matura tecnicamente, in cui si coniugano gli elementi che potremmo considerare caratteristici e ricorrenti nella ricerca rispettivamente di Bauder e Henke. Il primo utilizza frequentemente le sfere illuminate per i suoi progetti – in Lichtgrenze del 2014 ne ha usate ben 8000 sistemandole lungo l’intero perimetro dove una volta sorgeva il muro di Berlino, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua caduta. Mentre il secondo basa la sua fruttuosa sperimentazione artistico-visiva sull’uso del laser programmato in sincronicità con i suoni come in Lumiere e Lumiere II.
Deep web è il loro ultimo ambizioso progetto di cui non si deve solo ammirare la spettacolarità, ma in cui si possono cogliere diversi spunti che danno luogo a infinite interpretazioni. Tornando al titolo dell’opera, questo letteralmente si riferisce al web sommerso, ossia al lato nascosto di internet, invece la struttura dell’installazione pare alludere al concetto di interconnettività in toto, ai link tra lontanissimi punti in movimento e ci si potrebbe rintracciare il modello del pensiero rizomatico di Deleuze e Guattari. Le sfere che si connettono tra di loro attraverso effimeri fili luminosi possono essere intese come nodi e punti nevralgici di una rete e diventano la rappresentazione di un sistema randomico di relazioni, acentrico, non gerarchico e non significante in cui “(si) connette un punto qualunque con un altro punto qualunque1” e “ non è fatto di unità ma di dimensioni o piuttosto di direzioni in movimento2”.
1 G.Deleuze e F.Guattari, , trad. it. di S. Di Riccio, Rizoma, Pratiche editrice, Parma-Lucca, 1977. “Il rizoma connette un punto qualunque con un altro punto qualunque ed ognuno dei suoi tratti non rinvia necessariamente a tratti della stessa natura (…) Il rizoma non si lascia riportare né all’uno né al molteplice. Non è fatto di unità ma di dimensioni o piuttosto di direzioni in movimento, non ha inizio né fine ma sempre un mezzo, per cui cresce e straripa”.
2 ibidem.